Santa Maradona
Non ho voglia di sbattermi, perché è la terza o quarta volta che vedo Santa Maradona, film a cui voglio molto bene, sia perché lo trovo interessante, speciale, intelligente, insomma “bello”, sia perché ad esso sono legati, direttamente e per inconscia immedesimazione (nel personaggio di Bart ma soprattutto in quello di Andrea), alcuni ricordi positivi e alcuni negativi, che riguardano persone del mio presente e persone del mio passato. Non è un film di cui ora posso parlare oggettivamente. Però quando lo vidi la prima volta, sì. Quindi, dato che non ho voglia di sbattermi, come ho fatto per Gohatto, ricopio la recensione che feci per il mio sito più di un anno fa. Con le dovute correzioni di “maturità“. Buona lettura.
“Quanto può essere soprendente un film in cui non succede nulla che racconta di persone che non fanno nulla. Un film e una storia “contro”, una volta tanto non politicamente, ma liguisticamente. La vita di Andrea e Bart è un reiterato scontro con una realtà crudele, significativamente rappresentata in una Torino da brividi, dove regna la violenza, linguistica e non, in cui mastodontici cartelloni pubblicitari nascondono l’implacabile voglia di fuggire, tanto cara all’ultimo cinema italiano, ma con l’umile ammissione dell’impossibilità di una vera fuga. Perché lo sanno tutti dove si lavano i panni sporchi, e cosa vuol dire fuggire dalle proprie responsabilità. L’illuminata sceneggiatura, del regista stesso, è piena di dialoghi da antologia, che, pur tanto dovendo alla new-wave americana di “Clerks”, e non in modo celato, qui sono meno gratuiti, meno volgari, e i ritratti che ci regala questo divertente (e divertito) apologo generazionale sanno dire molte verità, che spesso nel cinema italiano si nascondono sotto falsi moralismi e gratuiti esercizi di stile. Anche lo spirito citazionistico è originale, e il debito cinefilo, anche quando evidente, anche quando addirittura metacinematografico, riesce sempre ad essere significativo (come la passione feticistica di Andrea per i titoli di coda), e al passo con la storia (come il finale). Ovviamente questo film non può piacere a tutti. Ma ha il raro dono di sorprendere lo spettatore con l’innegabile intelligenza dello script e con la sana corposità della regia, tutta filtri, dissolvenze e abili figure retoriche. Soprende, e lo fa dall’inizio alla fine.”
E poi, aggiungo ora, ci sono l’accento romantorinese di Libero de Rienzo e quei bellissimi dettagli sul volto di Anita Caprioli.