FFF2005
La foresta dei pugnali volanti (Shi mian mai fu)
di Zhang Yimou, 2004
Zhang forse ha cercato di sistemare quello che in Hero non funzionava: guardando questo suo ultimo lavoro appaiono più evidenti le pecche del precedente.
House of the flying daggers è meno votato all’ambiguità storico-politica, più avventuroso e romantico. Il punto di partenza è sempre la menzogna; ma invece di costruirci sopra un apparato teorematico come in Hero, stavolta il falso viene usato come espediente narrativo. Magari forzando un po’ la mano con il ribaltamento di ruoli, ma in modo sicuramente più funzionale.
La fotografia di Zhao Xiaoding, a sorpresa, è migliore di quella di Doyle. Non per qualità illuminografica (lì Doyle è imbattibile, e il termine me lo sono inventato adesso), ma perché non schiaccia sotto il suo peso una regia che quindi ha l’occasione di prendersi una rivincita. E lo stile di Zhang risulta sanamente più grezzo, meno votato al lirismo e con più personalità tecnica. Il risultato è un film meno plastificato del predecessore.
Certo, molte cose non funzionano, sarebbe disonesto urlare al capolavoro. Prima di tutto, non c’è niente di nuovo sotto il cielo: non è detto che debba essere un difetto, ma una certa risaputezza è innegabile. E innamorato com’è del gesto plastico, dell’estetizzazione del combattimento (qui vera danza, molto più che altrove), e anche della protagonista, Zhang indugia un po’ troppo sui rallentamenti, e da un uso del digitale a volte un po’ eccessivo.
Nonostante ciò è un deciso passo avanti, senza arrivare ai risultati di Ang Lee, ma guardando al wuxia con più onestà e meno ambizione che in Hero. Forse provandoci ancora, Zhang potrebbe partorire fuori un ottimo film. Ma da quanto so, ha già rinunciato.
Se fossi una donna, Takeshi Kaneshiro me lo farei di brutto. E invece sono uomo: Zhang Ziyi non è mai stata così bella.
Di diverso parere l’amico FedeMc di SecondaVisione, che era dietro di me.