Iron Man
di Jon Favreau, 2008
Facciamo finta, pur non potendo o sapendo quanto sia pretestuoso e limitante, di poter dividere i comic-movie statunitensi in due file distinte, in cui, da una parte, troviamo i film con una spessa impronta personale, e dall’altra quella degli adattamenti volti al massimo dell’intrattenimento, più vicini a prospettive circensi che autoriali. In questo senso, possiamo sia dire con tutta tranquillità che Iron Man sia il miglior film tratto dal fumetto di Stan Lee e soci che potessimo sperare, e nella sua fila tra i migliori tout court. Ma – e qui sta la differenza, e il motivo per cui le distinzioni crollano – non solo perché è uno spasso davvero indicibile. Anche se già è stato difficile arrivare alla fine di questo paragrafo senza dire la parola "ficata".
Insomma, Iron man non è solo un baraccone come tutti gli altri altri, ma al contrario possiede un sacco di cosette importanti di cui altrove si sente la mancanza. Prima di tutto, una sceneggiatura vera, di ferro: scritta a otto mani, con dialoghi perfetti e degni di una screwball comedy. Secondo aspetto, e più rilevante, attori veri: in primis un Robert Downey Jr. al solito miracoloso, ma anche Jeff Bridges che sembra uscito fresco da una tavola degli Ultimate e l’adorabile Pepper Potts con cui Gwyneth Paltrow è tornata tutto d’un tratto nelle nostre grazie. Altra cosa, e non meno importante, una vera e decisiva scelta stilistica: quella di non tralasciare tutto il film che sta intorno alle scene action – queste ultime, da far risvegliare i morti. Facendo tesoro del loro substrato da commedia, Favreu e Downey trasformano le parti statiche della saga di Stark in una sorta di divertentissima pochade, con sequenze incredibili come quella cronenberghiana dell’operazione "allegro chirurgo" – e sul graditissimo alleggerimento di tutto il dualismo corpo/macchina attuato da Iron Man (fin dal titolo?) bisognerebbe scrivere un pezzo a parte.
Certo, con un attore come Downey, sbagliare del tutto era difficile: il suo Tony Stark, oltre agli ovvi aspetti personali che con lui condivide e su cui la stampa si sbizzarrisce fin troppo, è davvero un personaggio eccezionale proprio perché antitesi del modello marveliano riportato in auge dai Batman burtoniani e dagli Spiderman di Raimi. Ovvero, l’eroe compassato, il perdente alla rivalsa o il vincente demolito dai complessi. Invece il sotteso dilemma del geniale e spocchioso Tony Stark – che, va bene, è edipico pure qui – è secondario rispetto alla sua strabordante personalità: un tale abnorme narcisismo da ributtare alle ortiche tutte le manfrine sulla responsabilità civile dei propri poteri – che in un film così volutamente scoppiettante sarebbero stati fuori posto – con una chiusa, poi, da mettersi in piedi sulle poltrone e sbraitare.
Qualche paura dell’ultim’ora, nonostante l’acclamazione globale, c’era eccome: vuoi per la paura di un eccesso di hype, vuoi per l’inesperienza di Favreau, vuoi per un personaggio che avrebbe potuto raschiare nella peggio retorica patriottica e/o antimilitarista – qui lasciate del tutto a un funzionale secondo piano. E invece, guardate che roba. E invece, guardate che senso del ritmo, del racconto, che stile. E invece, lasciatemelo dire, guardate che ficata.
Rimanete fino alla fine dei titoli di coda. Fidatevi.