The man who loved Yngve, Stian Kristiansen 2008

The man who loved Yngve (Mannen som elsket Yngve)
di Stian Kristiansen, 2008

"Ok, non si chiama Unione Europea né Russia. Non c’è la guerra al terrorismo. Nessuno ha un iPod. Cellulari, Internet, quella roba è fantascienza. Mi capite? No? Ok. E’ il 1989. Si chiama Comunità Europea, e io sono contro, cazzo. Si chiama Unione Sovietica, guerra fredda, Thatcher. La Norvegia ha il petrolio e gli yuppie, e la gente va in giro con dei piumini rosa, dei mullet con la permanente, e ascoltano musica di merda. Cosa ho fatto per meritarmi questo? Tutto è una barzeletta. Tutte le ragazze vanno negli USA alla pari "se la spassano da matti". Alla pari? Maledizione. Non ho amici. Non ho mai fatto sesso. Non ho idea del perché sono qui. Il mio nome è Jarle Klepp, e voglio una vita".

Con questo sfogo fulminante, recitato dal protagonista Rolf Kristian Larsen con lo sguardo in macchina durante una gita scolastica tra le paludi, inizia il primo film del regista norvegese Stian Kristiansen. Bastano pochi istanti, e Jarle trova una sua dimensione grazie all’amicizia con Helge Hombo, sancita dalla passione per Psychocandy dei Jesus and Mary Chain e per il disprezzo nei confronti dello status quo, la voglia di fuga. Titoli di testa scritti su audiocassette: tanto per capirci. Tre mesi dopo: il muro di Berlino è crollato, Helge e Jarle hanno fondato una band, Jarle sta con la ragazza dei suoi sogni, Cathrine. E il film, solo allora, è pronto a incominciare.

L’oggetto del desiderio che scatena la narrazione di Mannen som elsket Yngve è infatti, secondo gli schemi del teen-movie, un "individuo alieno", una squassante potenza esogena – il ragazzo nuovo giunto nella classe di Jarle. Biondo, pallido e delicato, Yngve gioca a quell’orribile depravazione borghese che è il tennis, ascolta robaccia synth-pop come i Japan di David Sylvian, è apparentemente antitetico a Jarle. Ma quest’ultimo prova per lui una fascinazione immediata che manderà in subbuglio non solo il rapporto con Helge e Cathrine, ma anche il sistema di valori, o presunti tali, su cui aveva costruito la sua identità. Quella stessa vita che chiedeva, ci chiedeva, a gran voce.

Quello di Stian Kristiansen è un esordio davvero sorprendente, per la sapienza con cui affronta di petto tutti i rischi del film adolescenziale da una parte, e del period movie sugli anni ’80 dall’altra, uscendosene con un film piccolo ma assolutamente irresistibile che parla, appunto, sia della ricerca del sé negli anni dell’adolescenza e di identità sociale e sessuale, sia di un momento storico ben definito e riprodotto con cura e malinconia in parti uguali – e per il suo trattare entrambe le facciate di una storia di crescita, di amicizia e di solitudine con grande freschezza, e soprattutto grande sincerità.

Gran parte del merito dell’umore che il film trasmette è dovuto poi a una scelta musicale molto precisa, proprio come è essenziale la musica stessa nello sviluppo della storia e nei rapporti tra i personaggi, dall’apertura su I wanna be adored degli Stone Roses fino ai Cure, passando per i R.E.M. di The one I love e, ovviamente, i Jesus and Mary Chain – senza contare l’apporto di band norvegesi come i Raga Rockers e gli Aller Værste!.

Il film, uscito in Norvegia più di un anno fa, è stato proiettato in una quantità notevole di festival in tutto il mondo, tra cui – sentite questa – la sfigatissima edizione 2008 del Festival Internazionale di Roma. Che però, per ora, non gli ha portato fortuna: non c’è traccia di un’uscita italiana, tanto per cambiare. Peccato.

Purtroppo l’edizione DVD norvegese non ha i sottotitoli in inglese: se volete acquistarlo, vi conviene aspettare che esca in qualche altro paese. Potrebbe essere una cosa lunga. In ogni caso, esistono in rete dei sottotitoli in inglese creati da un fan (tra l’altro, un ottimo lavoro). Insomma, fate voi.

15 Thoughts on “The man who loved Yngve, Stian Kristiansen 2008

  1. Come sempre nulla da ridire sulla recensione (del resto il film non l’ho visto, quindi mi fido della tua emerita parola). Però “robaccia synth-pop come i Japan di David Sylvian” mi sconvolge: ma li hai mai sentiti VERAMENTE i Japan ? Per non parlare delle varie partecipazioni fatte dagli ex-Japan negli album inglesi più`cerebrali degli ’80 ?

    Forse sono troppo vecchio.

    AldoVecchiocinefilo

  2. No no Aldo, non si è capito (ahimé) ma quella parte fa riferimento all’idea che Jarle e i suoi amici hanno della musica dei Japan – così come quanto detto del tennis (che io non trovo un’aberrazione borghese, per intenderci). Speravo che la cosa passasse da sé. :-D

  3. Come fai a sapere che la fansub è ben fatta? amicizie norvegesi? studio della lingua? Oo

  4. ma dove li prendi sti film? Io ho provato a scaricarmi qualche titolo dei tuoi, e non ci sono mai riuscito (quelli non distribuiti in italia, ovviamente). Dammi le informazioniiiiiiiiiiii ; )

  5. bravo Kekkoz.

    è interessante perchè cerca di riflettere (sul)la questione delle “etichette”, non solo sessuali.

    su questo ultimo aspetto, si può continuare a definirsi etero dopo che ti accade di prendere una favolosa cotta per un ragazzo?

    è così importante farlo?

    Io credo che la questione stia proprio nella necessità (specie da adolescenti) di “definirsi” e nella sicurezza che dà la definizione di sé, salvo scoprire che non possiamo definirci e forse nemmeno dovremmo, ma semplicemente lasciarci andare e lasciare entrare l’altro in noi (senza allusioni eh?).

  6. utente anonimo on 15 aprile 2009 at 15:55 said:

    OT:

    ho appena avuto la conferma che Jane Lynch non la conosce nessuno… a parte il sottoscritto e l’autore di questo blog….

    Eazye

    P.S. Non é che qualcuno vuole dare il colpo di grazia al Quiz per Cerebrolesi dalle parti mie????

  7. Scusa Kekkoz, e grazie per la precisazione (non avevo letto tra le righe: forse devo cambiare gli occhiali); del resto per le citazioni e i riferimenti musicali che fai di solito mi sembrava strano che tu non apprezzassi minimamente i Japan.

    AldoVecchiocinefilo

  8. you had me at Jesus&Mary Chain.

    Bella roba, perché l’anno scorso a roma ho visto solo film demmerda? Ah no, c’era JCVD.

  9. Credo fosse in una sezione chiamata “Fabbrica dei progetti”. Non so di più. Probabilmente non l’ha visto nessuno. Tsk.

  10. L’ho visto ora dopo averlo scoperto su questo blog, che lurko sempre con piacere e che spesso scova piccole perle di cinema indipendente.

    Cominciamo col dire che sono molto di parte, amando moltissimo il filone adolescenziale, in generale stupendamente indagato dai nordici (e terribilmente dimenticato dal cinema mainstream italiano e anglofilo).

    Questo film è un bell’esordio, asciutto, sobrio, intelligente, colto nelle citazioni e nella rappresentazione di un’epoca: che è sia quella vitale dei protagonisti e dei loro 17 anni, sia quella generazionale degli ultimi anni ’80, della fine del comunismo, dello sconvolgimento sociale. Certo, pecca qua e là ingenuamente, con i classici clichè di questo genere di pellicola: lo schema è quello collaudato dell’intreccio amoroso-amicale sconvolto dal nuovo arrivato misterioso e affascinante, e dalle necessarie sofferenze e rinunce a cui questo porterà.

    Ma non è questo il punto, perchè la consuetudine viene ben compensata dall’assenza di retorica e da una giusta dose di raffinata dolcezza che pervade la pellicola. Nonchè da un finale spiazzante (astenersi dalla lettura coloro che non l’hanno visto) che lascia tristemente l’amaro in bocca: perchè se è vero che Jarle compie a pieno la propria maturazione, è altrttanto vero che questa va, purtroppo, a scapito di coloro che lo circondando. Soprattutto di Yngve, colpevole suo malgrado di essere funzionale a questa maturazione. Ma parliamo proprio di lui, che non sembra essere il protagonista primario e che invece, già dal titolo, lo diventa. “L’uomo che ama Yngve”: sembra quasi il titolo di una fiaba. Non lo è. Yngve è l’oggetto centrale del racconto, e questo titolo annuncia la solitudine, la tenerezza che avvolge il suo carattere. La solitudine del resto è il tema centrale del racconto, nel quale si sviluppano microcosmi emozionali autoconclusi: e Yngve è più di tutti colui che necessita di essere amato, desiderato, cullato, comrpeso. Ciò che carica la pellicola di una delciata aura drammatica è il fatto che questo amore non riesce a concretizzarsi, se non in un momento in cui esso è ormai divenuto impossibile: gli istanti finali all’ospedale, il bacio che è più una necessità che una reale passione, sono carichi di commozione e significato. Simbolica a tal proposito è anche la scena della festa, quando – tra i postumi dell’alcool e delle droghe e il timore di confessare al mondo il proprio cambiamento – Jarle prima uccide a parole Yngve investendolo con tutto il proprio dolore (il dolore di chi sta affrontando una crescita necessaria), poi lo stringe a sè e gli sussurra all’orecchio “credo di essermi innamorato di te”. Un istante d’amore estremo, intimo, dolce, che però è destinato ad arrivare nel momento sbagliato; e soprattutto a generare tutta la catena di tragici eventi successivi.

    Sembra che Kristiansen voglia dirci questo: l’amore, la crescita, devono essere necessariamente accompagnati da una dose di sofferenza. Devono passare attraverso il distacco e l’autoaccettazione. Devono creare l’identità di una persona. Ed ecco che alla fine i due protagonisti restano soli: Jarle a ripercorrere le gioie e i ricordi che l’hanno condotto in breve tempo a quella situazione, e Yngve ad accettare la propria condizione di “altro”. Ma il finale così duro, che pure lascia aperta la porta alla speranza (perchè non ci è dato sapere cosa accadrà dopo), è una fotografia lucida che rimarca le caratteristiche dei personaggi, la loro fragilità, la necessità di compiere ciò che sono destinati a fare: Yngve dà un bacio a Larsen e questo in qualche modo lo solleva dalla sua realtà di ragazzo disturbato, e Larsen si sfoga piangendo, chiedendo a suo modo perdono all’amico per non essere stato in grado di sostenere la situazione creatasi. E forse per non aver compreso il suo disagio, assorto com’era a pensare totalmente a sè.

    “Sei arrabbiato?” gli chiede. E lui sa solo rispondere ripercorrendo le stesse frasi già scambiate in passato: l’incontro con David Sylvian, la poesia delle nuvole (il racconto della nuvola che muore ricordando di essere stata un cane è sublime), il tennis. Sono gli appigli a cui si deve aggrappare per non soccombere. Tutto quello che gli rimane, probabilmente tutto quello che abbia mai avuto nell’intera esistenza.

    Come a dire che ognuno ha la sua storia: e bella o brutta che sia, vale sempre la pena viverla.

    Concludo con un applauso a tutti i giovani attori, in particolare ai due principali: fanno un lavoro egregio e toccante.

    E complimenti a Kathrina: proprio una bella figliola :D

    Vedetevelo.

  11. beh magari potevi aggiungere che anche Yngve è un bel figliolo. ^^

    La bellezza di Yngve è elemento indispensabile per comprendere il turbamento del protagonista, che si innamora di un ragazzo che è “altro” anche in quel senso, mentre lui e i suoi amici sono “zozzi” (capello unto e vestiti un po’ trasandati – vedi la scena nello spogliatoio dove Yngve ha messo i suoi abiti in ordine e Jarle tenta di fare lo stesso).

    Poi certo c’è lo stereotipi di Yngve che beve vino (come Kathrine) e non birra…

    Yngve è la rassicurante calma, l’oasi serena in cui cullarsi e riposare.

    Yngve però è anche lo specchio della bisessualità di Jarle, specchio in cui non si vuole riflettere.

    Alla festa, quando gli dice “mi sono innamorato di te” quello è, un po’ “letterariamente” l’amore che non osa dire il suo nome, per citare Wilde.

    Yngve ingenuamente vuole dirlo a tutti mettendo la audiocassetta, Jarle gli urla “frocio”, mentre gli sussurra: “ti amo”.

    L’adolescenza (e l’adolescente) sa essere estremamente crudele.

    Paradossalmente è proprio l’amico di Jarle, il batterista Helge, a dirgli guarda che Yngve sta male, renditi conto di quello che hai fatto, anzichè stare ancora addosso alla ragazza perchè non vai da lui?.

    Yngve e Jarle, hanno perso per sempre la ingenuità del sentimento amoroso, senza substrati sociali.

    Il bacio, è un bacio rubato per un amore che non sarà vissuto, qui sta la tragedia, che frenati dalle convenzioni sociali, dagli amici, dall’ambiente, dai genitori da un desiderio di essere “normali”, rifiutiamo l’altro da noi, per quanto lo desideriamo.

  12. @souffle

    Concordo e mi associo alle tue aggiunte.

    La differenza tra Yngve e Jarle è ciò che (s)bilancia la storia, e il desiderio nei confronti di un’ideale “altro” è focale.

    Leggevo in una recensione che qualcuno ha visto in Yngve gli stessi tratti del Tadzio di “Morte a Venezia”, con la differenza sostanziale che mentre nel film di Visconti vi era una forte componente erotica, in questo caso il desiderio è più intimo, più personale, dovuto forse al fatto che entrambi i protagonisti appartengono alla medesima fascia d’età: quella della scoperta.

    Un’analisi interessante. Aggiungerei anche che in Yngve c’è una componente di fragile autodistruzione che invece non v’era in Tadzio, che diveniva in qualche modo carnefice, e non vittima degli eventi.

    Tornando alla festa, è vero ciò che dici. Per questo trovo quella scena di una potenza devastante, e spiazzante. Qual è il vero Jarle? Il personaggio sicuro, riformista, idealista che urla “frocio”? O piuttosto il ragazzo debole che timidamente confessa il proprio amore? E perchè proprio in quel momento? Forse per giustificarsi con Yngve, o piuttosto per giustificarsi con se stesso per non riuscire a reggere il proprio smarrimento.

    E’ una scena cruciale, un bivio, dove ancora una volta Jarle non sa scegliere quale strada percorrere.

    Perchè in ogni caso, e questa è la difficoltà dell’adolescenza, per ogni strada scelta ci sarà qualcosa per cui soffrire.

    Capitolo omosessualità.

    L’omosessualità (o la bisessualità), certo, è un dettaglio presente. Ma non credo sia, in questo film, il reale centro della storia. Esistono altre pellicole in cui l’amore tra adolescenti dello stesso sesso è indagato con maggior presenza ed efficacia. In questo caso, non è tanto il peso morale dell’omosessualità a divenire perno degli eventi, quanto piuttosto la necessità di una ricerca di equilibrio sentimentale che in qualche modo si estrania dall’orientamento sessuale. Tanto che, come hai fatto notare, è l’amico Helge (di cui tutto si potrebbe dire fuorchè il fatto che sia una persona “aperta” e “calibrata”, almeno apparentemente) a spronare Jarle e a spingerlo verso la ricerca di Yngve. A spingerlo, in qualche modo, verso la salvezza.

    E persino alla festa, quando Jarle è impegnato a non far scoprire il suo legame con Jarle, nessuno dei presenti si scandalizza per la questione “omosessualità”, tutti invece condannano il suo comportamento esagerato nei confronti di una persona che, alla fine, stavano iniziando a comprendere ed accettare. E’ l’eccesso quello che frega Jarle, che lo allontana da tutti; non il suo smarrimento, nè il suo amore per un altro ragazzo. Che invece viene compreso dai suoi amici in un modo molto più semplice di quello che lui potesse immaginare.

    Questo è bello, positivo, perché tutta la storia è indagata senza eccessi, senza moralismi, con le modalità con cui queste storie dovrebbero esistere anche nella vita reale: dove non è la “differenza di orientamento” ad essere l’elemento di “disturbo”, “la questione sbagliata”, ma è invece l’amore acerbo, ancora incompleto, ad essere messo in discussione. Qualunque sia il tramite di questo amore: uomo, donna, genitore, amico. In tutti i casi, questo amore trascina rancore, passione, dolore. Anche l’amore per sé, che richiede il passaggio attraverso momenti chiave di scelta e condivisione.

    Momenti che tutti i protagonisti saranno costretti ad affrontare.

    Anche gli amici di Jarle, comunque, anche se in modi diversi, iniziano a subire la presenza di Yngve. La differenza sta nel fatto che per Jarle il fascino di Yngve è amplificato all’ennesima potenza. Ma questa amplificazione non riesce a calibrarsi con la “normalità” che egli vive: che è fatta di una ragazza, di un solo amico e un paio di conoscenze, di una band. Di tanti sogni passati.

    La ricerca di un’altra strada, che passa attraverso il tennis, il taglio di capelli, la musica synthpop, diviene difficile da percorrere; tanto che in ogni caso Jarle non ha il coraggio di sostenerne il cammino: i capelli tornano come prima, il tennis viene giocato in segreto, la musica diviene un mixtape da donare con estrema attenzione.

    A questo proposito, anche la scena nello spogliatoio del tennis è centrale, con Jarle che si giustifica facendo notare come “normalmente regali cassette a tante persone” (come se si sentisse a disagio nei confronti di chi invece recepisce il regalo come un segnale gratificante), o con l’arrivo di Helge che gli urla come “vada bene quello che sta facendo, se è felice di farlo, ma sarebbe più onesto essere sinceri con gli amici”. Un ulteriore esempio che mostra come l’intero castello viene fatto crollare dall’egoismo (non voluto ma logico) di Jarle.

    È un film leggero ma duro, importante, che apre tanti temi.

    E sì, è un film sull’accettazione del proprio io profondo, sul rifiuto apparente delle differenze, che deve divenire comprensione nel momento in cui si affrontà la maturità del proprio essere.

    (chiudo avendo notato una cosa. Il titolo corretto è “The man who loved Yngve”. Il verbo al passato diviene ancora più caratteristico, e ripropone ancor più forte il tema della solitudine. Come a dire che esiste una sola persona che abbia mai amato Yngve, e che questo amore diviene un evento così raro da essere fondamentale. E’ triste e tragico: pensare che l’amore debba essere ricordo.

    Proprio come la nuvola, che muore per ricordare.)

  13. grazie del tuo intervento che puntualizza benissimo molte cose e sono assolutamente d’accordo come ad essere centrale non è la questione “sessualità” quanto la difficoltà di uscire dalle “etichette” (musicali, sportive, del vestire ecc.).

    Nonostante il finale, forse un po’ troppo “tragico” voglio sperare che Yngve trovi un altro uomo che lo ami.

    In fondo gli adolescenti pensano sempre a un Amore che è unico e per sempre, quando di Amori ne incontreranno fortunatamente molti nella loro vita.

    un saluto.

  14. tl;dr;

    Ho corretto la svista sul titolo, grazie della segnalazione

  15. provvedo subito a cercarmelo

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