marzo 2010

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Wolfman, Joe Johnston 2010

Wolfman (The Wolfman)
di Joe Johnston, 2010

Quello che prova a fare Wolfman è piuttosto chiaro, un azzeramento del film sui licantropi abbinando un ritorno alle origini al gusto contemporaneo. Il film è tutto caratterizzato da questo continuo contrasto tra classico e moderno: è infatti il remake, fedele soltanto per metà, del classico con Lon Chaney Jr. ma è anche un film che ammicca ai gusti del moderno horror per le masse. Esempio principe: gli effetti speciali digitali usati per le transizioni da uomo a bestia da un lato, il tradizionale e riconoscibile make up di Rick Baker dall'altro.

Ma invece di un curioso pastiche postmoderno, questo costosissimo baraccone, che sembrava nascere già instradato sulla via del fallimento dopo l'abbandono di Mark Romanek, è un pastrocchio noioso, freddo e poco sensato – rivitalizzato semmai da qualche unghiata violenta qua e là ai danni di borghesi benvestiti e della polverosa Londra vittoriana: ma si tratta di pochi gustosi schizzi gore immersi nella rassicurante noia che un mestierante come Johnston può assicurare.

Non si sa bene dove siano finiti i 150 milioni di dollari di budget in questa roba, a parte nelle eccellenti scenografie e negli splendidi costumi di Milena Canonero: chi si acccontenta, gode. Di sicuro non nel valore della sceneggiatura dell'altrove bravo (ma anche altrove pessimo, a volte) Andrew Kevin Walker, che riduce tutto a una diatriba edipica tirata via e scritta in una nottata, che lascia ai margini praticamente tutto il resto (per esempio il personaggio di Emily Blunt, trasformata in bella, bellissima statuina: che spreco, per un'attrice così!), e che fa di Anthony Hopkins un villain senza scrupoli sinceramente imbarazzante.

Ma è proprio il ricercato scontro tra modernità e tradizione il vero punto dolente di un flm comunque già di per sé poco interessante, legnoso e piatto come l'intepretazione di Benicio Del Toro: dissociati dalla preziosità scenografica e nemmeno così al passo con i tempi gli effetti digitali, quasi ridicoli nel contrasto gli sforzi sovrumani di Rick Baker per non far trovare fuori posto in un film così i suoi licantropi pelosi. Un mezzo disastro, insomma.

Cirque du Freak: The Vampire’s Assistant, Paul Weitz 2009

Cirque du Freak: The Vampire's Assistant
di Paul Weitz, 2009

Trovo curioso che i fratelli Weitz, che esordirono in coppia una decina di anni fa con American Pie, siano finiti lo scorso anno a dirigere due film come New Moon e Cirque du Freak, distanti nei toni e nelle intenzioni ma (al di là della mera presenza dei vampiri nell'uno e nell'altro) rivolti a un pubblico non così dissimile, almeno sulla carta. Una cosa è certa: che Paul ci fa un figurone. Sicuramente rispetto a Chris, ma non solo.

Il film, che è l'adattamento dei primi tre libri di una saga scritta dall'autore irlandese Darren Shan, è infatti una cosetta davvero gradevole e spassosa, a dispetto dei limiti imposti dal rating: inutile andare alla ricerca di sangue e interiora, ma qualche spavento c'è, e pure qualche concessione horror nella rappresentazione dei freak che popolano il circo. Impossibile non pensare a un film (pressoché dimenticato) come La brillante carriera di un giovane vampiro, ma il film di Weitz vive di vita propria scartandosi anche dalla trafila di film che cercano di cannibalizzare la moda odierna dei vampiri senza fare troppi sforzi.

Cirque du Freak ha anche gioco facile, dal momento che può sfoggiare un cast così notevole, ovviamente se si riesce a passare sopra alla faccia da fesso di Chris Missaglia, un Ashton Kutcher più minuto e meno simpatico, e dell'inostenibile socio-nemesi Josh Hutcherson, per tutta la durata del film: prima di tutto l'eccezionale Larten di John C. Reilly, ma anche figurine di secondo piano come la rigenerante Corma Limbs di Jane Krakowski (la Jenna di 30 Rock) che offre pezzi di corpo in pasto agli ospiti più graditi o il francamente inquietantissimo Alexander Ribs di Orlando Jones. Per tacere del cervellone di Ken Watanabe.

Insomma, niente di rivoluzionario, né tantomeno un film dall'aspettativa di vita infinita, ma un prodotto pensato per un pubblico adolescente, con la sua moraletta e tutto il resto, che non dà per scontato che gli adolescenti stessi siano dei perfetti imbecilli. E infatti, guarda caso, ci divertiamo anche noi trentenni.

Nei cinema dal 7 maggio 2010 con il titolo Aiuto Vampiro.

Daybreakers, Michael e Peter Spierig 2009

Daybreakers
di Michael e Peter Spierig, 2009

Quanti sono i punti di vista da cui si può osservare l'immaginario vampiresco per poterne sfruttare al massimo le potenzialità commerciali? I fratelli Spierig provano a impostare una prospettiva interessante, adulta e radicata nella fantascienza più che nell'horror, quella del ribaltamento in cui i vampiri hanno vinto e gli umani hanno perso. Ma nonostante la buona idea, il loro film è brutto è dimenticabile, crolla sotto il peso di una messa in scena artificiosa e mortificante, di una fotografia tutto stile e niente ciccia, di personaggi di cui non te ne può fregare di meno, e di una scrittura poverissima tutta conflitti famigliari inespressi e schiocchi metaforoni sociologici, che nel territorio del genere non fa che prendere a piene mani da territori già esplorati, meglio, in passato. Ethan Hawke si impegna per bissare la sua mesta e memorabile performance in Gattaca, invano. L'idea degli umani "coltivati", uno dei dichiarati punti forti del film sia vivisamente che narrativamente l'avevamo vista, uguale uguale, in un altro film (indovinate quale) e non fa più alcun effetto. Un punto d'onore ad alcune scene horror particolarmente cazzute e sanguinolente, in particolare alla scena, finalmente un po' eccessiva e personale, della propagazione dell'antidoto in una squadra di poliziotti-vampiri (non si dice altro) ma c'è davvero poco altro, pochissimo, di cui essere contenti.

Nei cinema dal 26 marzo 2010