Innocenti bugie (Knight and Day)
di James Mangold, 2010
Spesso e volentieri i film di cosiddetto-intrattenimento sembrano divertirsi a sfidare la sospensione dell’incredulità soprattutto attraverso sequenze d’azione che sfidano a loro volta le leggi della fisica e/o della logica. Per fare alcuni esempi a casaccio: True Lies di James Cameron, Desperado di Robert Rodriguez o Mission Impossible 2 di John Woo sono film che hanno spinto questo metodo fino alle estreme conseguenze – giustificandolo però rispettivamente con l’ironia, con il citazionismo, e con il puro stile. Matrix e i suoi sequel, a modo loro, hanno trovato l’inghippo ideale per annullare il problema: ambientando le sequenze stesse in un mondo parallelo cui le regole hanno perso ogni senso – e in cui tutto è concesso. È proprio per questo tipo di situazione che qualcuno ha creato l’orrido eppure diffusissimo termine “americanata”, parolaccia dispregiativa coltivata da decenni di antagonismo antiamericano e che presupporrebbe un’inesistente inferiorità intellettuale di quella che è, sommariamente, la più grande cinematografia al mondo. Detto questo, da queste parti difficilmente sentirete lamentele profonde e serie su quanto una sequenza sia “poco credibile”: nella maggior parte dei casi, una sequenza risponde all’economia generale del film in cui è inserita, all’immaginario da esso creato – che il più delle volte è coerente con se stesso anche se il film è brutto o malriuscito. Se il personaggio in questione sopravvive dunque a prove impossibili, non c’è niente di male in sé: la sua azione risponde a un’immagine del mondo creata intorno a lui e alla sequenza, e il problema con la sospensione dell’incredulità nasce dall’illusione che il mondo rappresentato nel film (d’azione, ma non solo) sia il mondo che sta fuori dalla sala – mentre invece non è che un’altra Matrice i cui confini spaziotemporali sono unicamente quelli del quadro e della visione.
Questo lunghissimo e inutile cappello solo per dire che la sequenza di Knight and Day ambientata a Pamplona è così cretina da mandare al macero queste mie ragionevolissime regole di accettazione e di rispetto. Un “salto dello squalo”, per tirare in ballo in modo (non del tutto esatto, a meno che non si voglia considerare il corpus dei film interpretati da Tom Cruise) una terminologia televisiva: non tanto per l’inferenza che in Spagna ci sia una corsa dei tori ogni volta che ci si mette dentro una macchina da presa, ma per la ricercatissima idiozia con cui tutta la sequenza è realizzata. Così, un film che fino a quel momento si era configurato umilmente come un action movie scemotto giusto con qualche ambizione da commedia brillante (sorprendentemente, la cosa migliore del film è proprio lo scambio screwball tra Cruise e l’insopportabile Cameron Diaz) ma che in reatà punta tutto – soprattutto nel budget – sull’esotismo sciatto del continuo cambio di location sulla falsariga dei M:I, nonostante qualche idea sinceramente azzeccata (la sequenza in cui Cameron Diaz “perde” un giorno e da una sparatoria in un capannone si ritrova in costume su un’amaca in un’isola deserta, con i flash velocisissimi dei “passaggi” intermedi) diventa a quel punto un palese affronto all’intelligenza dello spettatore medio. Si esagera a bella posta, insomma, nella consapevolezza che nessuno l’avrebbe comunque mai preso sul serio. Qui sta forse uno degli errori di fondo di Mangold (regista altalenante che qui si piega persino più del solito alle esigenze della produzione) e compagnia, simile a quello intravisto nel remake di A-Team: che un film di intrattenimento dalle premesse sanamente sciocche debba per forza diventare un film risibile, che una commedia action costosa e rumorosa non possa godere del rispetto che meriti, che si debba mandare tutto in vacca per farsi quattro risate. Non per niente il pubblico, a cui non piace essere preso in giro, non ha gradito.
Ma parliamo pur sempre di un film che ha attraverso un gran numero di cambi di rotta di regia, sceneggiatura (passata tra le mani di una dozzina di persone) e di casting, con Gerard Butler che gli ha preferito (questa, poi) The bounty hunter accanto a Jennifer Aniston. Il più grande peccato: non aver sfruttato a dovere il carisma di Cruise, attore sempre più interessante nonostante al giorno d’oggi alcuni pregiudizi legati alla sua dubbia sanità mentale gli diano qualche problema agli occhi del pubblico. Ne riparliamo tra una ventina d’anni.
Nelle sale italiane dall’8 ottobre 2010
Sei riuscito a dire tanto su un film che, a mio modesto avviso, merita poche parole. Tom Cruise fa il verso a sé stesso, Cameron Diaz fa il verso e basta, il tutto dovrebbe essere una action comedy, ma fa piangere per la tristezza di ciò che mostra e racconta. Se Cruise ha rifiutato Salt per girare Inncenti bugie ha toppato alla grande.
Visto ieri, giusto due cose da dire:
- Cameron Diaz? I’d still hit her.
- “He’s an assassin.. Platinum Grade..” *Groan*
ufficio segnalazione refusi:
*la sequenza di Night and Day ambientata a Pamplona
(se sei uno di quelli che preferisce di no, dillo e non te ne segnalerò mai più in vita mia, giuro).
(corretto grazie)
Io, francamente, non l’ho visto e non so se l’affronterò, fosse anche solo per la camicia perfettamente stirata che indossa la bella Cameron nelle locandine. Mi provoca l’orticaria.