L’illusionista, Sylvain Chomet 2010

L’illusionista (L’illusionniste)
di Sylvain Chomet, 2010

Tratto da un soggetto che Jacques Tati non riuscì (o forse non volle) mai a trasformare in film, il nuovo lungometraggio di Sylvain Chomet più che nell’intento di riportare nelle sale lo spirito dell’autore francese (nonostante l’omaggio palese non finisca nell’adattamento ma arrivi addirittura a un paradossale, buffo “incontro” tra il protagonista e il Tati dello schermo) riesce in quello di riportare tra il pubblico un’idea di cinema (d’animazione, e non solo) che forse si è perduta – allo stesso modo in cui, raccontano con chiarezza le vicende di Tatischeff, è svanita tra le platee d’Europa la fascinazione per i trucchi e per i prestigi del mago. Una sensazione di rottura trasparente e immediata: non a caso pochissimi secondi dopo l’inizio del film, un bambino dietro di me ha chiesto ai suoi genitori a voce molto alta “ma non parlano?”. Con un tono tendenzialmente scocciato, anche se l’intuizione era corretta e lui se n’è accorto prima di voi: la differenza con il cinema d’animazione a cui sono/siamo abituati è evidente, e dopotutto lo scarto con la malinconia nei confronti del passato è al centro del film. La fortuna, in questo caso, è non aver sentito più quel bambino per tutto il resto del film: mi piace pensare che sia stato conquistato dalla capacità di Chomet di raccontare una storia di solitudine e affetto, pur così dolente nei suoi ultimi rintocchi, con un’ironia d’altri tempi, un gusto spiccato per la costruzione delle scene e per la caratterizzazione di contorno (i miei preferiti: i tre gemelli iperattivi) e un desiderio violento di raccontare per immagini che nel cinema europeo ha ormai pochissimi profeti. “I maghi non esistono”, sentenzia Tatischeff nello sconcertante e addolorato finale, ma Chomet la sua piccola magia se l’è portata a casa.

Il film è nelle sale da una settimana ma forse non ve n’eravate accorti. Accorgetevi.

8 Thoughts on “L’illusionista, Sylvain Chomet 2010

  1. Che amarezza che a Milano sia in una sola sala…
    Non voglio sapere in quante c’è Due cuori e una S******a perchè potrei piangere.

  2. E meno male che non lo hanno sbattuto in viale Sarca come Totoro, sarebbe stato affondato dal pubblico del fast food.
    Ha ottenuto l’Apollo solo perché distribuito da Sacher film che ha aggando con Anteo e Apollo
    A Roma peraltro è in 3 sale. Il che fa davvero pensare – quantomento pensare ai distributori – che ai milanesi certe cose non interessano.
    Smentiteli cari minalesi che leggete il nostro kekkoz.
    A favore del film depone non solo la sua malinconica comicità e un sapore, appunto di tempi che non torneranno, ma anche la straordinaria qualità pittorica delle scene e il non scendere a compromessi, né con il narrare, né con il “lieto fine”, né con il tratto e il disegno.

  3. a Roma appare in tre sale, ma la terza è a Ostia, quindi in realtà sono due. E al Nuovo Sacher non lo fanno la sera! Spero che questa settimana non venga già cancellato dal Mignon!

  4. bellissima quella sensazione di nostalgia malinconica che pervade il film…

  5. Poesia magica e magia poetica. Un film da vedere.
    Sulla pagina facebook del film si trovano immagini, interviste e approfondimenti. Condividiamo!
    http://www.facebook.com/pages/Lillusionista/157343504286950

  6. Hei allora vado di cappottino! Ops ma qui a Palermo non lo fanno. Nessun problema posso sempre andare di aereo fino in CAMPANIA che è la regione a me più vicina dove viene proiettato.
    Maledetti.
    Ciao

  7. Omen on 8 novembre 2010 at 23:09 said:

    Ma la polemica del nipote di Tati com’è andata a finire?

  8. Ritardatario on 26 novembre 2010 at 21:32 said:

    A me è piaciuta particolarrmente la riflessione amarissima su quanto, nei Sessanta, il mondo nascente della “comunicazione”, per come la intendiamo oggi – cinema, pubblicità, televisione e non solo – abbia stravolto i palcoscenici teatrali e dell’avanspettacolo in genere, causando la crisi degli spettacoli dal vivo. Che poi va a finire, secondo me, in una più profonda e ampia riflessione sul’arte. Se non ricordo male, dopo la scena del biglietto con su scritto “I maghi non esistono, una folata di vento e un raggio di sole fanno sì che sulla parete della stanza si proietti “una magia”, un naturale gioco di ombre, come a voler dire che se è vero che i maghi non esistono, non è altrettanto vero che non esistono illusioni alle quali non valga la pena, comunque, di assistere. Un film che considero un capolavoro, anche e soprattutto per la struggente realtà contro cui il povero mago va a sbattere, quando si accorge che nonostante abbia fatto di tutto per la simpatica sguattera, questa, poi, comincia a sentirsi talmente “normale” da non cagarselo più. E in questo ci vedo una critica sottile a tutto l’immaginario Disney, dato che il tizio di cui la ragazza si invaghisce pare il classico principe azzurro e tra i due la scinitlla scoppia, guarda caso, proprio quando lei è vestita da principessa. Difficile non pensare a Cenerentola. Che rappresenta proprio quella tipica tendenza dell’”industria culturale” di appropriarsi di storie e leggende per metterci il marchio e farci i soldi. Nulla di troppo male, in se, considerando che da sempre l’arte e le narrazioni, in generale, sono poi, in fin dei conti, un gran taglia e cuci, però pare proprio che Chomet, partendo da Tati, attraverso il film metta in atto una meravigliosa invettiva contro la mercificazione dell’arte.

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