Rapunzel – L’intreccio della torre (Tangled)
di Nathan Greno e Byron Howard, 2010
Lo strapotere culturale e commerciale della Pixar negli ultimi 15 anni ci ha fatto gradualmente allontanare dalla Disney: ma Rapunzel è senza dubbio uno dei risultati migliori, forse il migliore, della casa negli ultimi (molti) anni. Caso vuole che sia esattamente il 50° film del “canone” Disney, e che sia, almeno per il momento, l’abbandono del mondo delle fiabe da parte degli Studios dopo che molti prodotti provenienti dalla concorrenza si sono letteralmente impossessati della tradizione. Ed è proprio nel rapporto con la tradizione che sta la bellezza di Rapunzel: un film che riesce a essere allo stesso tempo al passo con i tempi, con i ritmi e con le esigenze delle nuove generazioni, ma a essere anche ben radicato nel mondo che la Disney ha contribuito a creare in più di 70 anni di storia, abbandonando l’eccessiva consapevolezza sarcastica per un approccio alla fiaba più sentimentale, sentito e sincero. Pochi possono permetterselo ancora, e tra questi c’è la Disney, ma Rapunzel è tutt’altro che un’opera fuori dal tempo: frutto di un lungo lavoro di concept e costato peraltro una cifra impressionante (260 milioni di dollari contro i 180 di Up), il film di Greno e Howard, grazie a uno script semplice ma intelligente ma già a partire dai disegni che sintetizzano in modo tecnicamente ambizioso l’estetica 2D con i vantaggi del 3D, riesce a coniugare in modo perfetto l’ingenuità della fiaba con personaggi realmente tridimensionali: se Flynn è un principe imbroglione senz’arte né parte e piuttosto risaputo, la villain Gothel e il camaleonte Pascal sono davvero riuscitissimi – ma è Rapunzel a essere davvero adorabile, così come è una sintesi ideale del metodo di lavoro del film: una principessa moderna e antica, imbranata ma risoluta, modellata sul cliché dell’adolescente contemporanea. E su un’indole di indipendenza dalla costrizioni degli “adulti” che suona forse anche come un segnale di voglia di rinnovamento all’interno della Disney: potrebbe essere davvero, finalmente, l’inizio di una seconda giovinezza.
l’ho trovato davvero riuscito!era ora che la disney si svegliasse!
http://firstimpressions86.blogspot.com/2011/03/cera-una-volta-in-un-tempo-molto-molto.html
adorabile-stop
Non è questione di risveglio Disney.
E’ questione di John Lassiter.
Che da quando è diventato decisivo nella vita di un lungometraggio con le orecchie da topo il livello si è innalzato (vedi anche “la principessa e il ranocchio”) e cose sguisce sono state tagliate (ad esempio “Gnomeo”).
L’alto costo di Rapunzel non è forse dovuto a un sostanziale rifacimento quando Lassiter ci ha messo le mani sopra?
certamente Lasseter è stato determinante…però secondo me tangled al di là della nostalgia per la vecchia animazione è decisamente più riuscito de “la principessa e il ranocchio” che è stata un po’ un’occasione mancata,un film carino ma solo questo:invece Rapunzel non vive di semplice nostalgia per le glorie passate, è BELLO,fresco e pefettamente al passo coi tempi al di là della tecnologia usata (se fosse stato disegnato e non computerizzato per me sarebbe stato indifferente ).
Sarebbe stato bello se avessero rinunciato alle onnipresenti parti cantate (in diminuzione rispetto a quelle di altri film disney, per fortuna…) e agli animaletti simpaticoni.
Per me è stata una mezza delusione, mi aspettavo un po’ di innovazione, ma non ne ho trovata.
beh in passato ci avevano anche provato ad abolire le canzoni (il pianeta del tesoro , atlantis ) ma i risultati non è che siano stati incoraggianti…e poi le parti cantate erano uno dei marchi di fabbrica che distinguevano i film disney dagli altri prodotti d’animazione quindi al di là del fastidio per la versione italiana (che però è inveitabile visto che un bambino dei testi in inglese non sa che farsene ) le canzoni ci possono stare…
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