Dylan Dog – Il film (Dylan Dog: Dead of Night)
di Kevin Munroe, 2011
“Does the word ‘Sclavi’ mean anything to you?”
Ci vuole poco a capire perché confrontare il Dylan Dog di Kevin Munroe e quello di Tiziano Sclavi non possa giovare al film; pare inoltre un esercizio fine a se stesso: i cambiamenti sono stati così numerosi e radicali, alcuni giustificati dalle contingenze produttive e altri francamente inspiegabili – non tanto la terribile voce fuori campo o lo spostamento da Londra a New Orleans, quanto la modifica sostanziale dell’intera backstory di Dylan, divenuto un ex “mediatore” tra umani e mostri – da creare con questo film una nuova mitologia, che riporta alla mente Blade e Underworld, magari Buffy o addirittura Streghe, più che il Romero citato frequentemente nei primi storici albi del fumetto italiano. Una comodità per chi fosse così volenteroso da affrontare Dead of Night come un film a sé stante – nonostante la costruzione narrativa si rifaccia abbastanza fedelmente alla “tipica” storia di Dylan – e non come il fallito adattamento di un grande prodotto editoriale. E così com’è, il film di Munroe è meno orrido di come lo si dipinge: una volta superato il trauma (la prima mezz’ora di film è un facepalm dietro l’altro) questo Dylan Dog appare come un discreto horror di serie B straboccante di cliché che tra il dark e la commedia sceglie più volentieri quest’ultima. Infatti proprio nell’inseguire i toni leggeri Munroe trova i suoi momenti peggiori (ad esempio la sequenza demenziale e sbracata dell’obitorio) ma anche i suoi migliori (il mercatino dei pezzi di ricambio) accomodandosi più spesso su un placido e per nulla sgradevole equilibrio tra le esigenze del genere e l’ammiccamento ironico, anche grazie al comic relief di Sam Huntington – che aveva l’arduo incarico di far dimenticare l’assenza di Groucho e fa un buon lavoro, anche se la sceneggiatura e i dialoghi raffazzonati non sono all’altezza (ma “I look like a dead hooker!” mi ha fatto sorridere). Brandon Routh invece è noto per essere un attore rigido e legnoso, e qui si riconferma tale: molto meglio l’islandese Anita Briem.
Da grandissimo fan dei fumetti non sono riuscito a trattenermi dal dare un’occhiata a quest’adattamento. Dico solo “per fortuna che era una proiezione gratuita”. Ho provato a cancellare dalla memoria tutte le ore passate a leggere le avventure di Dylan, ma quando hanno cacciato in mezzo il vampiro Sclavi mi son cascate le braccia.
Bel blog, concordo con parecchi tuoi giudizi.
(Urgh, ma faccio il lurker da un anno)