Faust
di Aleksandr Sokurov, 2011
Una delle più grandi ovvietà che si possano dire sul Faust di Sokurov, vincitore del Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, è che non è un film per tutti. Ma è anche una verità. Non ci si riferisce però, come potrebbe sembrare, alle capacità intellettuali dell’autore e spettatore, ma all’accettazione di un patto. Un film, ogni film, nasce da una sorta di stipulazione, oserei dire diabolica a questo punto, che può esaurirsi con il tempo della visione o durare una vita intera, tra il film stesso e lo spettatore: il primo presenta una visione del mondo, un sistema di valori e di leggi, che il secondo dovrà accettare per riuscire a far parte dell’esperienza filmica. In questo, e non tanto nella sua intelligibilità, sta la differenza, soltanto relativa, con il cinema a cui siamo abituati: il Faust è un film che chiede al suo spettatore qualcosa in cambio. Una possibile chiave per eliminare questo scarto, che provoca certamente timore – ce ne sono molte altre: la bellezza del film sta anche nella sua capacità di essere qualcosa di completamente diverso per ciascuno, inclusa la possibilità che per qualcuno sia soltanto un film terribilmente noioso – la propone lo stesso Sokurov all’inizio del film, con una spettacolare e inquietante inquadratura a volo d’uccello che mette la sua ben nota storia all’interno di una cornice tutt’altro che realistica, aliena, onirica: l’esperienza inconscia prima ancora che razionale è forse la modalità più semplice per affrontare il film, e i suoi personaggi che promettono di essere padroni del loro destino quando non fanno che schiacciarsi l’uno con l’altro, sballottati come in una teca di vetro o in una palla di neve. E non c’è dubbio che per Sokurov l’impianto visivo sia di principale importanza: la sua riflessione sul desiderio passa sì anche attraverso esacerbanti monologhi filosofici, insistite bizzarrie surrealiste e consuete provocazioni formali, ma già dalla scelta del formato è l’immagine pura – al tempo stesso meravigliosamente pittorica e arditamente sperimentale, antica e moderna come la storia che racconta – a imporsi come il filtro attraverso cui osservare il mondo. Che poi Sokurov riesca o meno a comunicare attraverso la sua ricerca esacerbante un significato compiuto e autentico, quello è un altro discorso: ma il suo magnifico film è prima di tutto un’esperienza ipnotica da cui ciascuno trarrà conclusioni differenti, e che lascia una forte traccia del suo passaggio. Si tratta senza dubbio di un patto impegnativo, a tratti più sacrificale che mutuale, ma è un contratto su cui sono felice di aver messo la firma.
me’ cojoni, che recensione emozionante!
Traduzione: è un film talmente brutto che non potrai dimenticarlo tanto facilmente.
Al riguardo leggiti quella di E. Battistini su Il Fatto Quotidiano merita per le mirabolanti analogie ed tesi di fondo.
A differenza della tua che è pregevole come sempre.
Complimenti per la piana e meravigliosa semplicità con cui hai spiegato l’aspetto più occulto del film (dovresti spodestare qualche presunto critico dal proprio spazio remunerato); la metafora del patto è davvero splendida, e mi aiuta a capire all’interno di quali premesse io abbia subìto il Faust. Perché sì, io l’ho subìto, il Faust di Sokurov! Non mi è piaciuto affatto. Faccio parte di quella schiera di semplicioni che l’ha trovato deprimente, vecchio, noioso. E pertanto non capisco: dov’è che sbaglio? Al di là del Leone d’Oro (non mi fido dei premi) mi sono lasciato persuadere da recensioni, riviste e amici degni di credito. Intendiamoci – sarei andato a vederlo comunque, aveva tutte le premesse per interessarmi (non ho mai letto il Faust di Goethe, lo confesso apertamente). Tuttavia, pur con le migliori intenzioni (incuriosito e mentalmente ricettivo), mi sono beccato un mattonazzo a tradimento.
Da dove comincio? Dalle battute ripetute fino alla noia? “si sieda, prego, si accomodi, prenda posto, venga, qui, qui sul letto, si metta comodo!” ridicolmente giustificate con “l’eterno ritornello, l’eterno ritornello!”. Oppure dalla fisicità insistente, enfatica, morbosa di questi bravi attori, sottratti al teatro e costretti al mimo? Faccio prima a segnalare ciò che mi ha urtato di più. Gli orpelli inutili: conigli ovunque, donne che sussurrano agli uccelli, gufi drogati, miagolii posticci, cani iperattivi, processioni deliranti, un lebbroso nella stessa gabbia dei maiali, pozioni improbabili, aborti in salamoia… ma cosa c’è di bello in tutto questo? Cosa c’è di geniale nel rispolverare il formato 4:3? O nel citare l’espressionismo tedesco? O nel citare i soliti noti, Tarkovsky, Bergman, bla bla bla.. In che modo un’inquadratura obliqua (pochi ne parlano! ma abbiamo visto lo stesso film? era un problema del proiettore del mio cinema?!?) e acontestuale (quindi non alla Samuel Fuller o alla Hitchock) dovrebbe suscitarmi un’emozione diversa dal fastidio? E va bene la psicanalisi, e va bene la filosofia, e va bene il ritratto deforme di una società corrotta dai giochi di potere….chi più ne ha più ne metta, ma io ho visto una bomboniera pacchiana o poco più. E dire che mi ritengo abbastanza sveglio nel cogliere concetti sottesi, specie in opere di questo genere! Quindi non capisco: perché tutti si piscino addosso per questo lugubre polpettone? Di nuovo, cos’è che mi sfugge? Quale sublime vetta dello spirito non riesco a raggiungere?
Ottima recensione! Film davvero indimenticabile! E’ uno di quei film che lascia un segno nell’anima
Ho visto il film al mitico rialto per 3 eurini e per la prima volta nella mia vita ho preferito perdermi una parte del film per andarmi ad incipriare il naso. Mi correggo, era già successo al Lumiere per il terrificante film di Massimo Coppola (ebbi peraltro un pessimo tempismo, mi persi l’unica scena degna di nota: quella della mamma della protagonista che muore con Tiziano Ferro sparato a palla). Mi spiace comparare in questa sede Sokurov e Massimo Coppola, ma tant’è. Ad ogni modo ti scrivo per ringraziarti sinceramente per aver dato un senso al malessere che si è protratto per settimane dopo aver visto il film in questione. Il merito va alla tua trovata della stipulazione di un patto. Quanto alle conclusioni discordiamo, ma questo succede spesso. Un caro saluto da una tua lettrice tra le più fedeli.
@maria letizia, va bene provocare tanto per, va bene non digerire il film di sokurov (e vabbè, questo è già più difficile), ma mettere in una stessa riga sokurov e massimo coppola è un crimine contro l’umanità
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bella recensioncina…
@ matteo – ti capisco ma le hai sparate un po’ grosse… quello che ti manca, è un’idea di valiore meno intellettualistica e insieme una sensibilità sufficientemente ricettiva… ammetto che in certi punti si resiste con difficoltà, ma poi si è ripagati dalle emozioni profonde che suscitano le immagini oniriche, la nobiltà di certe inquadrature, l’originalità e intelligenza della lettura del faust (forse qui è il diavolo più autentico e riuscito della storia delle arti, uno di noi e insieme un essere deforme e abominevole…).. e insomma quel che si dice poesia, alla fin fine… impossibile approfondire qui…
Non lo nego, ho fatto una sparata polemica. Ma continuo a non capire… Sai cosa? Ultimamente sono molto legato al cinema di genere. Non mi convince più la presunta spontaneità del cinema d’autore (brutte etichette, lo so, ma assumere una posa, in certi circuiti, pare sia d’obbligo). Amen! A mia discolpa: so apprezzare la poesia, là dove la colgo. Tanto per intenderci, “Arca russa” mi ha ipnotizzato e commosso. E quindi, a maggior ragione, non mi aspettavo nulla del genere… Vedrò di lavorare sulla mia sensibilità.
Stasera vado a vederlo, ma prima mi metto il parastinchi