Il pescatore di sogni (Salmon fishing in the Yemen)
di Lasse Hallström, 2011
Emily Blunt è una di quelle attrici che possono far passare facilmente in secondo piano i limiti dei film in cui recitano: questione di innegabile bravura ma anche di presenza scenica, di talento comico come di intensità drammatica. Quando c’è Emily Blunt sullo schermo, è difficile distogliere lo sguardo. Purtroppo, non sempre i film da lei scelti sono alla sua altezza. Ed è un peccato che questa commedia romantica diretta (senza particolari sforzi) da Lasse Hallström e scritta (con qualche buona idea) da Simon Beaufoy risulti così ordinaria pur essendo tratta da un libro così improbabile e bizzarro: messa da parte l’ispirazione blandamente satirica con cui è ritratto il grigio burocrate di Ewan McGregor e le suggestioni surreali che la trama potrebbe ispirare, il film prende presto la strada indicata dallo sceicco illuminato Muhammad di Amr Waked, che però in relazione ai protagonisti non è altro che una variante del magical negro e che contribuisce a portare a più riprese la pellicola sull’orlo del ridicolo involontario, abbandonando l’ironia british e finendo per prendere troppo sul serio i suoi banalotti vaneggiamenti sulla ricerca del proprio posto del mondo, metafore con salmoni incluse. Il film poi è tempestato di paesaggi che sfumano nella cartolina turistica, ma in verità, come previsto, è la bravura di Blunt e McGregor (senza dimenticare Kristin Scott Thomas: la tenace e cinica ufficio stampa del primo ministro inglese sarà un semplice comic relief ma è anche la cosa migliore del film) a tenerlo in piedi fino alla fine, non senza una gran faticaccia.
ero riuscita a vederlo in anteprima “aggratis”. Tralasciando ogni commento sulla traduzione del titolo, che tanto ormai ho perso le speranze, la cosa migliore del film è stata Kristin Scott Thomas. Per quanto anche Tom Mison, per dire, avesse il suo bel perchè. Visto con gli occhi di una femmina, si intende.