Zero Dark Thirty
di Kathryn Bigelow, 2012
“Who are you?”
“I’m the motherfucker who found this place.”
Non se ne avrà a male Kathryn Bigelow, se le rubo un paragrafo in favore di Alexandre Desplat. Il compositore francese è infatti, a mio avviso, la più sbalorditiva costante del cinema del 2012, non tanto per una casualità, quella di essere l’autore della colonna sonora di alcune delle migliori pellicole uscite nell’anno appena trascorso (Un sapore di ruggine e ossa, Moonrise Kingdom, Argo) ma proprio per l’importanza che le sue musiche fiabesche, incantevoli e stranianti rivestono in questi film; fanno quasi sempre la differenza (soprattutto in Reality di Garrone), ma senza peccare di presunzione. Anche in Zero Dark Thirthy, dove l’annunciata sequenza che accompagna il film verso la sua conclusione è resa ancora più tenebrosa e maestosa dalle note di Desplat.
Per arrivare al punto finale, il film di Kathryn Bigelow ha attraversato, nel corso di due ore e mezza, quasi un decennio nella vita di Maya, una solitaria e decisa agente della CIA che ha fatto della cattura di Bin Laden il suo unico e solo scopo e che, contro tutto e tutti (peraltro, tutti uomini) persegue con insistenza lo sviluppo di un indizio ritenuto fatale. L’idea, alla base della più diffusa sciocca battuta sul film, che il finale sia scontato perché sappiamo che (e sappiamo quando, e come) Bin Laden sarà trovato e ucciso, non tiene infatti conto della posta in gioco: che non è tanto l’eliminazione del bersaglio, quanto l’intera vita della protagonista; in tal senso, il “vero” e necessario finale del film è straziante, e diventa una riflessione sul sacrificio che sfuma tra le lacrime ogni possibile catarsi patriottistica.
Costruito su una narrazione che segue il format, più che dell’operazione bellica, dell’indagine procedurale, Zero Dark Thirty è un film che unisce una tensione incredibile, e che lo rende uno dei thriller più avvincenti della stagione, a un’asciuttezza analitica che sembra rifarsi alla docufiction (ma è solo un trucco) e a una spavalda onestà intellettuale. Molto più decisa ed efficace che in The Hurt Locker (un buon film, forse sopravvalutato), la Bigelow fa sempre il giro più stretto intorno a ogni questione e non si tira indietro di fronte a (quasi) nulla: quello dipinto dal film è un mondo in cui nessuno è più al sicuro, nemmeno dietro la protezione di una torretta di sicurezza, dove si muore per un inganno, per un errore o per una casualità. Le possibili critiche (come quelle che l’hanno accusata, assai semplicisticamente, di supportare l’uso della tortura) non sembrano interessare la regista, che con un’inflessibilità simile a quella di Maya vuole solo fare del cinema, intelligente e di grande impatto. Lo sceneggiatore Mark Boal la segue a ruota e ne approfitta, scrivendo serratissimi dialoghi da spy story e battute memorabili da action movie.
Se la chiave di volta è sempre Maya, e la strabiliante Jessica Chastain che la interpreta in quello che sarà – con tutta probabilità – il ruolo decisivo della sua carriera, la Bigelow sfrutta con intelligenza i membri del cast che, nel corso degli anni, a turno, girano intorno come satelliti (maschili) della sua grande ossessione, dal feroce, bravissimo Jason Clarke ai barbuti Joel Edgerton e Chris Pratt con i quali la Bigelow umanizza le premesse dell’interminabile sequenza di cui si parlava all’inizio: uno dei più eccitanti e spaventosi pezzi di cinema di questi ultimi mesi, un viaggio nel buio tra fucili, paura e morte che toglie il respiro per mezz’ora e poi lascia una voragine nello stomaco e nel cuore.
Nei cinema dal 7 febbraio 2013
Ma quindi tra gli agenti c’è Bert Macklin, FBI?
LOL proprio lui.
FILMONE
non prendertela ma per me c’e’ qualcosa di piu’ in questa sorta di documentario,che trascende ampiamente le storie personali completamente insignificanti dei protagonisti.
c’e’ un ritratto impietoso di un’america miserabile che prepara la sua fine con operazioni deliranti,inutili quanto di immensa portata.
c’e’ un progetto insignificante : la cattura di bin laden,con l’intento di rispondere al bisogno di vendetta ancestrale…”Il corpo del nemico”..ma a che scopo?
c’e’ invece la visione di un immenso problema in cui l’america si e’ cacciata, mettendosi contro un miliardo di esseri umani con una politica bieca,miope,sbagliata.
Altro che film fascista,altro che inno alla tortura. Questo e’ un documento storico sulla fine di un paese,di una societa’,di un’idea di civilta’ occidentale.
fara pensare molta gente negli Usa. E forse non solo li’.
Devo dire che a me alla fine ha lasciato un grande vuoto dentro. proprio dopo l’ultima scena mi sono detto “e adesso? cosa è cambiato?”…..
@Kekkoz, ti devo chiedere una cosa in privato mi dai un modo per mandarti un pm?