Il grande e potente Oz (The Great and Powerful Oz)
di Sam Raimi, 2013
Nonostante si possa applicare, si sa bene, pressoché a qualunque opera audiovisiva, una delle letture più interessanti di questo film è proprio quella autoreferenziale. Raimi non ne fa certo un mistero: il suo Oz, ossessionato dalle forme preistoriche del cinema e dalla figura di Thomas Edison, è di fatto un cinefilo ante litteram, il suo percorso riflette (come sostiene anche Roy Menarini su Twitter) quello della carriera di Raimi, dall’amatorialità de La Casa fino ai miliardi della Disney, e l’intero script – sia nello sviluppo narrativo che nei singoli dialoghi – è costruito sull’abbinamento tra l’illusionismo e il cinema stesso. In qualche modo, questa prospettiva lo avvicina più a Hugo Cabret che ad Alice, e ci permette, quantomeno, di illuminare con una fioca luce di consapevolezza un progetto che, a grandi linee, è speculare a quello che tre anni fa Tim Burton consegnò alla Disney. E che risulta, similmente e inevitabilmente, una delusione per qualunque fan del regista o del “marchio” di Oz. Come già aveva fatto nella trilogia di Spider-Man, Raimi nasconde qua e là dei “graffi” che lo rendono improvvisamente riconoscibile (più che altro sfumature, dettagli, uno zoom o un movimento di macchina fuori posto) e regala una prima ventina di minuti (in bianco e nero e in 4:3) davvero entusiasmante; per il resto, si mette al servizio di un progetto che, per sua natura, deve accontentare un pubblico di straordinaria ampiezza, e che spesso cede a un infantilismo che sciacqua la ricchezza delle invenzioni visive e l’imponenza produttiva. Tutto sommato, il disastro totale di Alice è lontano, perché la favolosa Rachel Weisz riequilibra da sola la prova (volutamente) caricaturale di Kunis e Williams, perché James Franco è così terribilmente “estraneo” da risultare efficace, ma questo Oz è proprio una sciocchezza di poco conto. E non del tutto innocua: sarebbe anche divertente di per sé, se solo fosse possibile ignorarne le origini e le conseguenze. Però, viste le premesse di un prequel “monco” (la Disney possiede i diritti dei libri ma non del film del ’39), mettiamola così, poteva andare peggio.
L’ho saltato a piè pari, in troppi ne hanno parlato e scritto male. Se ti fossi esposto con un parere positivo forse lo avrei messo nelle cose da vedere un giorno o l’altro, ma così me lo vedrei solo sotto ricatto.
Ok, però secondo me Rachel vale il prezzo del biglietto.
un filmuccio caruccio, come favola per piccini secondo me è promossa. il discorso sul fascino dell’illusione cinematografica è la cosa più interessante.
Siamo molto lontani da Alice per fortuna, deliranza vade retro!