Noi siamo infinito (The perks of being a wallflower)
di Stephen Chbosky, 2012
“We accept the love we think we deserve.”
Raccontare l’adolescenza non è un affare da poco, soprattutto se si vuole cogliere quella sensazione di inadeguatezza, di slancio verso qualcosa di intangibile, che spesso il cinema ha preferito racchiudere in cliché, etichette e status sociali, soprattutto nella commedia. Stephen Chbosky non partiva avvantaggiato: chi sceglie di (o viene spinto a) dirigere un adattamento di un proprio romanzo ha sì il vantaggio di poter scegliere con libertà il grado di aderenza all’originale, d’altra parte però, da romanziere, rischia di non avere una sufficiente padronanza del mezzo per un film così facile da sbagliare, proprio per la sua apparente semplicità e leggerezza. Ma di là di qualche perdonabile errore (come la fotografia troppo patinata, quasi fuori controllo), Chbosky è riuscito a confezionare, sulla base di una storia tutt’altro che originale, un film piccolo e delicato, romantico e intelligente, con un giovane cast strepitoso (Ezra Miller e Mae Whitman sono impagabili) e una bellissima colonna sonora in cui classici di Morrissey e Bowie interagiscono in modo sensato e coerente con la storia. In tal senso, uno degli elementi più sorprendenti del film, ambientato una ventina d’anni fa, è la sua negazione dei canoni più pigri del period movie: se non fosse per alcuni “indizi” (come le cassettine) il film potrebbe svolgersi in qualunque periodo; segnale di universalità per un film che tratta sentimenti comuni e riconoscibili, anche se verso la fine l’universalità lascia il passo, per forza di cose, a una più particolare drammaticità. Ma l’intento originario, di una nostalgia che non dimentichi quanto possano essere terribili quegli anni, non va perduto.
appena visto. sto ancora piangendo…