Come un tuono (The place beyond the pines)
di Derek Cianfrance, 2012
Chi si occupa di cinema, per passione o per mestiere, entra raramente impreparato in una sala. Le conoscenze pregresse, le informazioni raccolte, i pregiudizi, fanno parte indubbiamente della stessa esperienza cinematografica. Talvolta, però, capita di affrontare un film a mente libera: è un esercizio che può insegnarci molto sul nostro rapporto con il mezzo, se vogliamo anche con il rito. Ci sono film, poi, che sfruttano al meglio quest’idea: a meno di averlo fatto volontariamente, è impossibile anticipare la struttura narrativa di un film come The place beyond the pines, tra i più intensi e originali film americani di questa stagione. La presenza stessa di Ryan Gosling, in un ruolo che nella pubblicistica sembra rimandare a Drive più che a Blue Valentine, è una sorta di depistaggio. Tant’è che il film stesso, da un certo punto in poi, diventa quasi una versione “dirottata” di una storia rimasta in potenza. Come se le dinamiche successive, prese in prestito dalla tradizione tragica, fossero la conseguenza divina di un atto di violenza nei confronti della storia, dei suoi personaggi, di un amore fantasma e di un segreto che aleggiano nell’aria, ma rimangono impressi sui volti, sui muri, sopra fotografie invecchiate. Con scaltrezza ma anche con il fegato di arrivare a forzare la mano, a piegare i destini pur di giungere alla risoluzione desiderata, Cianfrance utilizza questo sorprendente sviluppo per tracciare una profonda, dolente riflessione, sulle responsabilità dei padri, che a volte prende tratti rischiosamente metafisici, avvalorata però da una messa in scena avvolgente, dalle bellissime musiche di Mike Patton e dalla sublime direzione degli attori. Primo tra tutti Bradley Cooper a cui, con buona pace di Gosling, tocca il ruolo moralmente più contorto: forse la prova più difficile della sua carriera, superata in modo eccezionale.
bradley cooper l’ho preferito ne il lato positivo. qui non mi è sembrato così eccezionale e la parte che lo vede protagonista l’ho trovata la più debole del film, nel complesso comunque davvero niente male.
Un film che mi ha letteralmente spaccato il cuore. Mi ha sdrenato, sfibrato fino all’ultima scena. Un film intenso come pochi. Però devo fare un accenno al doppiaggio: pietoso, a mio parere. Premettendo che l’ho visto prima in lingua originale e poi in lingua italiana al cinema, il doppiaggio è sempre un’operazione difficile, dove il confine fra il fare un buon lavoro e una cagata immonda è labile. Faccio solo un esempio: il personaggio di Robin (interpretato da un onesto Ben Mendelsohn) in originale ha una voce talmente sbiascicata e contorta che credo faccia fatica anche un madrelingua a capire tutto. E questo, almeno in minima parte, lo devi riprodurre con la voce del doppiatore. Nella versione italiana è stato preso un maestro di dizione, rovinando tutto quel personaggio che non è magari centrale, però è importante. Sarò troppo perfezionista, ma ci sono rimasto male. Nel complesso gran film.
Un saluto a tutti e a kekkoz in particolare: mi hai fatto appassionare al cinema, grazie. Ti seguo da parecchio ed è la prima volta che scrivo. Ogni film di cui fai la recensione lo guardo. A volte sono stato d’accordo con te, altre volte no. Lo prendo come un mio personalissimo (e banalissimo, lo ammetto) esercizio intellettuale. Gran lavoro, grazie ancora. Ciao
a me bradley cooper non piace per nulla
ma poi ho letto mike patton
e allora cambia tutto
Bellissimo film, storia molto toccante. Ryan Gosling eccezionale come sempre.
W O N D E R F U L
Non c’entra nulla con questo film, ma ti volevo dire: hai visto l’articolo dedicato a te sul “Venerdì” di Repubblica? Complimenti!!! grande Kekkoz!
Ciao, Complimenti per i blog, sono davvero ben fatti, sotto tutti i punti di vista! Una domanda: l’immagine di copertina, quella con la ragazza che si tiene i capelli, da che film è tratta?
Grazie
“Quella casa nel bosco – The cabin in the woods”
(Grazie!)
Ho trovato il film stucchevole, una storia banale come un minestrone in cui si mette un po’ di tutto (la ispanica abbandonata con un figlio, il motociclista acrobata che fa le rapine, il poliziotto eroe, i poliziotti corrotti, i figli che crescono e che si incontrano dopo 15 anni, la vendetta, il sistema americano trionfante, il figlio che si allontana in moto per la sua strada) ma con tutti gli ingredienti che perdono sapore invece di arricchire il risultato finale.
Insomma una lagna noiosa, che poteva durare anche la metà e non sarebbe cambiato nulla.
Non c’è alcuna tensione, nessuna intensità dietro le facce immobili e melense di Gosling (la solita espressione in tutto il film ed in tutti i film che ha fatto) o di Cooper (il solito fighetto furbetto e primo della classe).
I ragazzi che si incontrano dopo 15 anni è quanto di più prevedibile ed ovvio, date le premesse.
E alla fine il ragazzo non è neanche in grado (e si che ne avrebbe avuto la possibilità) di fare un buco in testa a chi gli aveva ucciso il padre, ma si limita a derubarlo del denaro e della foto (che quello scemo conservava nel portafogli come fosse l’immagine di Padre PIo). Assolutamente inverosimile.
Ecco, un buco in testa, la sacrosanta vendetta, avrebbe creato la giusta tensione.
E invece il finale stile Easy rider completa nel modo più banale un film banalissimo.
Unica nota positiva: Eva Mendes, bella e brava, ma sprecata in mezzo a tanta mediocrità.