Chicago
Ho scritto un po’ troppo di Schumacher e del suo Phone Booth, quindi ho perso buona parte dell’ispirazione e della lena per scrivere di Chicago. Un buon punto di partenza potrebbe essere la solita domanda: mi è piaciuto? La risposta è sì. Mi sembra anche ovvio. E’ davvero difficile criticare un film in cui il talento (visivo, fotografico e soprattutto attoriale) esce fuori in modo così ridondante dallo schermo. Insomma, una delizia per gli occhi (e per le orecchie), oltre che un’interessante variazione sul tema realtà/sogno, trasferito sul binomio vita/palcoscenico, rappresentazione del rapporto tra verità e finzione cinematografica. Ciò significa che tutto il film va letto in modo metafilmico? Sinceramente questo livello, se pur esistente, funziona assai meno di quanto funzioni l’alternarsi ritmico e ipnotizzante dei costumi, dei colori, delle musiche, dei corpi danzanti, che ricrea la fantasmagoria che è propria del musical, ma che spesso non riesce a venir fuori.
Certo, che Marshall non sia un super-regista si vede eccome, come in alcune parti un tantino “piattine”: non c’è (perché non vuole esserci, intendiamoci) la geniale destrutturazione di Luhrmann. C’è solo la voglia di raccontare una storia, e di raccontarla come si deve. Insomma, non che la regia sia terribile, ma si tiene comunque su un registro medio (o mediocre), tra un gusto teatrale simpaticamente retrò (mantenendo molti numeri su un palco) e l’ampio sfruttamento delle visioni di scenografi e costumisti. Il mio giudizio è quindi nettamente positivo, ma senza strafare.
Numeri musicali ce n’è in gran quantità, alcuni sono piacevolmente nella media, ma comunque non scendono mai sotto il livello attentivo che causa la noia. Però alcune parti superano maestosamente quel livello. Prima di tutto: la conferenza stampa in cui la Zellweger (bravissima come sempre, ma non che la Zeta-Jones sia da meno) diventa una marionetta nelle mani di Gere è la mia scena preferita, me la sono rivista tre volte. Poi c’è “Mister Cellophane”, in cui John C. Reilly mostra una bravura da brividi. Infine, uno dei primi balletti, quello del “tango delle sei assassine”, è una meraviglia, e possiede una carica erotica e simbolica magistrale.