Gohatto


Inserisco un primo (spero raro) elemento di intertestualità tra il mio Blog (che state leggendo) e il mio ormai desueto sito The Rosebud Chronicles. Infatti in tal sede avevo già parlato di Gohatto, bellissimo film di Nagisa Oshima, che avevo infatti visto al cinema Roma d’Essai a Bologna nella primavera del 2001. Mi aveva già senz’altro molto colpito, ma forse a causa della mia scarsa conoscenza del cinema orientale non mi aveva permesso di comprenderlo appieno. Grazie a Ghezzi (che l’ha trasmesso sabato sera su Rai3), ritorna l’occasione di parlarne. Quindi tutto ciò che faccio oggi è riproporre in corsivo quella stessa recensione da me scritta quasi 3 anni fa, anche se parzialmente ripulita da alcune stronzate che ci avevo infilato.


In una gloriosa compagnia samurai che detta legge a Kyoto nella metà del XIX secolo, l’arrivo del giovane omosessuale Kano getta scompiglio, e porta via con sè secoli di glaciale rigore, all’insegna dell’abbandono dei limiti imposti da una cultura chiusa come è stata quella giapponese per così tanto tempo. Una storia dolorosa e moderna, narrata da Oshima a suo modo, con geniali e talvolta ironiche didascalie che immergono i personaggi in un’atmosfera quasi fiabesca. Il settantenne regista giapponese riesce ancora a turbare i nostri animi attraverso una messa in scena apparentemente fredda e composta, ma più emozionale di quanto non sembri. Il montaggio è semplice e lineare, la scenografia minimale, e la colonna sonora di Sakamoto è ottima e sempre puntuale. Tra le cose straordinarie, i duelli (contrapposti ai dialoghi, ma in verità significativi quanto e più di uno scambio verbale per quanto riguarda l’incontro/scontro di mentalità o generazioni differenti) e momenti di poesia e magia rare, attimi di cinema puro: la sequenza finale presso la palude azzurra, con il racconto di Okita, i pensieri di Hijikata (un eccellente Takeshi Kitano) che si fanno visione, la scoperta delle verità su Kano e Tashiro, e infine quel tronco spezzato dalla lama di Kitano, un istante in cui si fondono estetismo e arte. Anche se lontano dalla nostra cultura e dalla nostra mentalità (molto più lontano delle opere di Kitano stesso, per esempio), Gohatto si fa comunque comprendere fino in fondo. E si fa amare. Un bellissimo film costruito sugli sguardi, sui pensieri, sui dettagli. (da www.therosebud.it)


Ecco, ora che l’ho ripulita mi sento molto più soddisfatto, anche se mancano alcune cose, e prima di tutto mancano i giudizi a posteriori risultanti dalla visione di Zatoichi. La semplificazione più becera potrebbe risultare: è meglio Gohatto o Zatoichi (viste le somiglianze, seppur tangenti, che permettono di metterli a confronto)? Conosco troppo bene Kitano e troppo poco Oshima per decidere fermamente.

5 Thoughts on “

  1. Aggiungo che se volete cercarlo sui dizionari, è sotto “Tabù”, anche se io preferisco il titolo originale, molto più suggestivo e completo. Baci.

  2. io ho registrato tutta la nottata di sabato xò devo ancora iniziare a vederla, spero al più presto…x quanto riguarda kill bill, rispetto la tua opinione (ci mancherebbe) ma non riesco proprio a farmelo piacere quel film…forse l’unico appunto a mio sfavore in quel post da te commentato è che ho dato un giudizio fin troppo positivo ad un film come “L’ultimo samurai” che senza dubbio sfigurerà di fronte alle pellicole di Kitano, Oshima e, soprattutto Kurosawa…senti, una proposta, ti potrei linkare?Mi interessa molto questo tuo blog…

  3. utente anonimo on 8 febbraio 2004 at 13:19 said:

    la mia domanda è questa: di cosa parla gohatto?
    ti soffermi molto, su cosa e oshima ci mostra, ma non vedo nemmeno una riflessione sull’argomento del suo film…siamo d’accordo sulla magia, sugli attimi di cinema puro ecc.ecc. ma quando “estetismo e arte” si fondono, cosa succede? qual’è il motivo di quella scena?

    mi sembra che quello tu descrivi in maniera appositamente costruita e falsamente poetica sia l’involucro di gohatto e non il suo cuore: non vorrai paragonarlo a zatoichi solo guardando l’esterno?
    che senso ha parlare di dettagli, sguardi e pensieri se poi non se ne avverte il peso nella composizione… in tutte le tue righe c’è solo un continuo giudizio tecnico/estetico, ma il cinema è mollto di più!!!

    mr.mifune

  4. caro signor mifune, a parte che è un miracolo che abbia letto il tuo commento (a un post di un sacco di tempo fa), comunque volevo dirti che quella recensione l’ho scritta un sacco di tempo fa, e comunque (quando scrivevo recensioni, cosa che non faccio più) avevo la preferenza di parlare di un film dando per scontata la visione di esso, e soprattutto di parlare delle cose che mi interessavano, non di altro – non c’è falsa poesia, perché non c’è nessuna ricerca formale – e poi, ripeto, questa recensione è stravecchia – comunque sia, il fatto che a te non piaccia il mio stile non vuol dire che sia sbagliato – e viceversa – buona lettura e grazie per la visita

  5. utente anonimo on 12 luglio 2006 at 13:06 said:

    anche io mi permetto sommessamente non una critica allo stile (trovo che in genere sei bravissimo e il tuo blog è decisamente divertente da leggere), quanto al fatto che il punto centrale del film si snoda su quanto sia disturbante e pericoloso introdurre la passione in un ambiente militare che deve essere concentrato e non deve avere distrazioni. L’arrivo di questo giovane e bellissimo Samurai che attrae con la sua straordinaria bellezza tutti gli altri guerrieri è negativo non per l’attrazione omosessuale, quanto perchè comporta la ditrazione dal dovere. In questo senso il giovane arriverà a pagare la sua sensualità, la sua voglia di sedurre. Questo è quello che interessava a Oshima. Senza volere essere maliziosi, mi è sembrato avessi un certo imbarazzo nel dire apertamente il punto di interesse del film. Imbarazzo che non hai avuto altre volte quando l’omosessualità non ha fatto capolino nelle storie. Anche nel commento a Furyo c’è lo stesso imbarazzo che ti porta a mai citare Sakamoto questa volta oggetto di seduzione da parte di Bowie. ciao Oscar

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