Cabin Fever
“E il fucile?”
“Ah, quello è per i negri”
Cabin fever (che Nico ha tradotto magnificamente in paura da cabina) di Eli Roth è un horroraccio truculento che rubacchia tutte le sue idee dal cinema horroraccio e truculento (ma non solo) degli ultimi quarant’anni. Non che sia male, ma c’è citazionismo e citazionismo.
Qualcosa funziona. Ma credo davvero che sia merito della supervisione di Lynch. O meglio, dell’amicizia che lo lega a Roth, che sembra volerla mostrare in tutti i modi. E così l’unica visione davvero geniale del film, quella del ragazzino seduto sull’altalena che d’improvviso urla “pancakes! pancakes!” e comincia a fare volteggi kung-fu al ralenti, sembra uscita da una delle più inquietanti suggestioni del buon vecchio David. Per non parlare della rappresenzazione del bosco. E del poliziotto imbecille. Ma Lynch ha un interesse e un rispetto per la provincia americana che Roth si sogna, e che probabilmente non gli interessa. Perché Roth vuole solo essere distruttivo. E’ sorprendente che uno che ha lavorato spalla a spalla con Lynch non abbia capito nulla del suo cinema.
Però, l’ho detto, qualcosa funziona. Il disfacimento del corpo della “solita” ragazza-strafiga che, dopo un sano e disperato coito pre-mortem, si rade le gambe togliendosi la pelle, rende davvero l’idea di una società sull’orlo dell’autodistruzione, e la paranoia tutta americana della paura del contagio filtra bene attraverso alcune immagini, alcune suggestioni. Ma il resto è troppo esplicito, troppo telefonato. Le caratterizzazioni di sfondo sono ridicole. I personaggi sono insopportabili e dicono fuck ogni due parole: condannati a morte certa.
E infine, nel bel mezzo di una sana pre-catarsi gore and splatter, che ci vuole, e che diverte, si sente il dovere di fare una replicata del primo Raimi, un pizzico del primo Hooper, e il finale. Che è il primo Romero, pari pari. E senza vergogna.
stasera vado a vedere big fish. poi ti dirò. T
la cosa che funziona di più in cabin fever è il poliziotto e il suo monologo sulla baldoria
secondo me è un po’ buttato lì per fare il lynch della situazione – l’ho trovato un po’ fastidioso