La passione di Cristo
Ho pensato a un modo con cui poter parlarne senza ripetere cose già dette. E’ difficile. Quindi, vi avverto, sarò banale. Non condivido comunque gran parte delle polemiche. Anche perché forse The passion non merita tutto questo clamore, perché è un film piuttosto ordinario, con qualche vetta e molti tonfi. Non mi sento di elogiarlo né di condannarlo. Non credo insomma, come ha detto qualcuno, che si debba odiare o amare. Mi trovo in una posizione mediana, di quasi indifferenza, ammirato da alcune cose e profondamente deluso da altre.
The passion è, va detto a sua discolpa, un film estremamente e disperatamente coerente, che porta avanti fino in fondo il suo progetto. Che non è quello di un film evangelico, ma piuttosto di un’opera di massa che riflette sul sacrificio e sull’annullamento del corpo. In questo, lo hanno detto in molti, è un film di Gibson fino nel midollo. Ma non è da disprezzare per questo. The Passion è però un film del tutto privo di un’etica della rappresentazione. I fantasmi di Giuda, il dialogo con Maria, quei maledetti ralenti.
Sono invece apprezzabilissime le vere scelte di Gibson, che sono tre. Quella di mostrare (ne va della suddetta coerenza) il corpo sotto la pelle di Cristo. Quella (geniale, non c’è niente da fare) di mantenere l’aramaico e il latino (provocando effetti comici quando il latino è messo in bocca all’americano Caveziel o al terribile Fabio Sartor). E infine quella di fare un film seppia, in cui i sassi di Matera, l’aria, i volti della gente urlante e lo stesso corpo di cristo condividono lo stesso colore, che è anche il colore che il sangue lascia sul pavimento. Una sorta di colorpneuma.
E gli ebrei? Sono proprio cattivi? Sì, sono proprio cattivi. Non ne faccio una questione religiosa e politica, di integralismo, di istigazione al razzismo. Non mi interessa, e proprio non ci credo. Perché il male in The Passion, grazie al cielo, è il volto androgino di Rosalinda Celentano, che passa tra la gente, e sparge il suo seme nel mondo. Quello che infastidisce è piuttosto l’eccessiva macchiettizzazione dei sacerdoti del tempio (forse penalizzata ulteriormente da una recitazione abbastanza ridicola, nella maggior parte dei casi) e della folla urlante, diretta in modo dilettantesco.
Visto che si tratta di un film “a sequenze” (come ogni passione che si rispetti), cerchiamo di capirci e di semplificare fino al grado-zero: l’inizio nel giardino dei Gethsemany, virato in blu, parte bene con il volto e la voce di Satana, ma viene poi rovinato da orribili scelte di montaggio assolutamente prive di significato. Lo “scaricabarile” tra Erode, Pilato e i Sacerdoti è la parte stilisticamente più interessante, che termina con la celeberrima scena della flagellazione. E’ in questa parte che si concentra tutta la ridicola macchiettizzazione di cui ho parlato, con il popolo ebraico che sembra uscito dalla brutta copia di un Bosch [ripeto, non è una questione politica né religiosa: è una questione di rappresentazione]. Poi c’è la via crucis. Posso dirlo? Noiosissima. E ancora quei maledetti ralenti ovunque. Poi, crocefissione e morte. Questa è la parte migliore, struggente e disperata, e con l’idea (non originale ma ben riuscita) del montaggio parallelo tra la crocefissione e l’ultima cena. Infine, stendiamo un velo di pietà sulla lacrima di Dio (a Brescia direbbero: pattonata) e sull’ultima indecente inquadratura, con la vista attraverso il buco nella mano di Gesù. Come fosse uno scherzo di Zemeckis.
Domanda: ma Erode era davvero così freak? Perché lo rappresentano sempre così freak? Confesso la mia ignoranza in merito.