Mulholland drive
In questi giorni postpasquali privati di cinema ho rivisto (ma stavolta in inglese) Mulholland Drive. Vorrei esimermi dal commentarlo. Comunque capolavoro. Rimando a questa mia vecchia recensione. Buona lettura.
“Bisogna lasciarsi trascinare dal moto associativo di un genio diventato completo, finalmente, nel coraggio totale di abbandonarsi ai propri sogni e alle proprie visioni, con uno sperimentalismo linguistico e iconico che è raro trovare nel cinema americano. Un film che è sogno, che è realtà, e che è (soprattutto) cinema. Con la rappresentazione del set di un film anni’50, colorato e luccicante; con la sua storia para-noir di tradimenti, corruzioni e amori segnati dal destino. Un film diviso in due parti, ma tanto circolare da non risultare mai frammentario; al contrario si sviluppa per associazioni oniriche fino a creare un plot che tanto irrazionale non è (lo sono, semmai, i suoi atomi). Lynch confonde i piani del testo, mescola senza alcun pudore sogno, ricordo e presente, fino a farli coincidere, riempiendo tutte le dimensioni visive dell’opera dei personaggi e degli oggetti che, per quanto tipicamente lynchiani, sono qui finalmente e definitivamente funzionali alla storia, se così vogliamo chiamarla; se non alla storia, all’atmosfera, che è la cosa più importante e più bella di questo film. È forte però il richiamo alle forze irrazionali, alle gerarchie infernali; il diabolico demiurgo (un diavolo, che tutto vede) che abita nel cortile di un fast-food e che sembra sempre muovere le pedine, con l’aiuto del “mysterious man” di turno (il cowboy, che tutto sa) e del “capo” immobile sulla poltrona dietro al vetro (il nano, che tutto può), non fa altro che disperdere lo spettatore e deviarlo dal naturale corso degli eventi. Che è, ad una prima, semplice rilettura, abbastanza chiaro ed esplicito: sogno, flashback, follia, morte, silenzio. Ma di sogno di tratta, o di un patto con il diavolo? La trasmigrazione del corpo di Diane in Betty è pensiero, sogno, o una realtà “altra”, una costruzione parallela dall’ontologia concreta? Ma non sono in fondo domande che appartengono alle sensazioni umane sulla visione, e sul sogno (e sul cinema, sulla sua condizione di realtà)? “Non c’è nessuna banda, è tutto registrato”; non possiamo fare niente per modificare gli eventi. Lynch stesso si trattiene dal dare spiegazioni, e invita lo spettatore a perdersi nei meandri malsani dell’immagine, nei singoli passi di un ritratto crudele e affezionato di un mondo, il mondo del cinema, in cui la dicotomia reale/irreale è normalmente decisa da determinate figure retoriche, ma in cui non dev’essere per forza così: un portacenere a forma di pianoforte ci può dare una dimensione di quello che sta succedendo, ci può impedire di impazzire inghiottiti dall’apparente confusione e dall’assenza delle figure stesse, ma non ci può certo fornire una spiegazione che ci faccia uscire dall’incubo. Che, tra l’altro, non finisce mai, nemmeno con la fine del film. Lasciamoci trasportare, quindi, dal flusso dell’inconscio lynchiano, ma non impediamoci di dare un senso a questa bellissima storia d’amore/orrore e di morte/sogno. Silenzio.”
devo anche completare la visione di “Dark star” di Carpenter, e mi aspettano ALMENO Gibson e Martone – ne parlerò presto
Mulholland Drive mi ha terrorizzato
Immenso Mulholland Drive.
…mi raccomando LOST HIGWAY; eccosì la facciamo finita anche co ‘sto cinema!
Ahinoi, non è dato sapere quali sarebbero stati gli sviluppi incredibili di una serie del genere, bisogna perciò limitarsi alla proposta per il cinema, già di per sé ricca di spunti unici e mai superati.
Kekkoz ti ho citato fra i contributi esterni nella Guida di cultura avantpop:
http://guide.supereva.it/cultura_avantpop/interventi/2009/05/mulholland-dr.-di-david-lynch-2001
Spero ti faccia sapere.
cordialmente
S.