La casa dei 1000 corpi
Lunghissima attesa, ampiamente soddisfatta. Udite, udite: House of 1000 corpses, cult dei cult di Rob Zombie è davvero un gran bel film.
Forse perché è consapevole, perché strabocca di amore per il genere, e ci mette davanti a una specie di “sunto poetico” del cinema del terrore anni ’70 (Tobe Hooper in testa, ma non solo – e comuqnue è un omaggio dichiarato), senza paura di sembrare “già visto”, in quanto la sua forza sta nella rilettura di un immaginario che cancella in un soffio e fa sembrare ridicoli tutti gli horror degli ultimi dieci anni (o almeno, il trend), in una sarabanda che non teme il kitsch, né il trash.
Nè la sperimentazione. Infatti mischia, o meglio accumula, pellicola, video, (digitale?), lenti bifocali, lenti distorte, split-screen, ralenti, e i più diversi stili di montaggio. E poi Zombie ci mette dentro tutte le suggestioni cinefile che probabilmente l’hanno accompagnato come artista, non risparmiandoci un attore cormaniano (il fantastico Sid Haig in guisa di pagliaccio omicida) e un’attrice che viene dritta dritta dalla New Hollywood (Karen Black, coraggiosissima serial killer di mezza età).
Ma il film è anche, al di la dell’autoriflessività, un horror vero, sanguigno e terrificante, strapieno di elementi, situazioni e personaggi indimenticabili, e che fanno realmente paura. Senza contare che ci si mette la realtà, con la paranoia americana del serial-killer (le foto delle vittime di Manson che mangiano lo schermo).
E Rob Zombie è (surprise!) anche un ottimo regista: basterebbe solo la scena al ralenti, seguita da un interminabile momento di silenzio, e poi uno sparo: da antologia. Ma c’è bel altro. E c’è da dirvertirsi. Non fatevelo scappare, e non deludetemi sottovalutandolo.