settembre 2004

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Birth

di Jonathan Glazer, USA

Venezia 61 Concorso

Birth è un film che racconta una crisi altoborghese causata dall’avvento del soprannaturale e dell’inspiegabile. Raffinato, perché Glazer sceglie con intelligenza uno stile in qualche modo "autoriale", ovverosia lentissimo, catatonico, fatto di silenzi e spazi vuoti, concentrando l’attenzione sullo sguardo e sul corpo della Kidman, modellando le scelte su riferimenti a Rosemary’s baby e al cinema europeo. Problematico (e piaciuto davvero poco, forse solo a me e a Kezich) perché non si preoccupa per nulla della credibilità del plot o della costruzione dei personaggi, lasciati vagare un po’ insensatamente. La forma è comunque affascinante, e Nicole è straordinaria: quei minuti immobili sul suo volto che si muta in pianto sono impagabili, e bellissimo il finale marino, in cui la forma si sgretola come le certezza di una donna.

Nemmeno il destino

di Daniele Gaglianone, Italia

Giornate degli autori

Il film di Gaglianone ha due facce: la prima parte, con i tre (poi due) ragazzi, è davvero sorprendente, almeno per la posizione che questo piccolo film occupa nel panorama del cinema italiano: stile personalissimo, scelte registiche coraggiose, un montaggio libero e affascinante che pur modernissimo si distacca dallo stile videoclipparo molto in voga di recente. Ad un certo punto, il film cambia rotta, per esplicito volere del regista: e il film perde mordente, ritmo, interesse, per poi innalzarsi di nuovo nel bellissimo finale in bianco e nero, dolcissimo e pieno di speranza. Nonostante questo problema (non oggettivo), un bel film. Massimo merito degli attori non professionisti (tutti ragazzi simpaticissimi, posso dirlo senza false ipocrisie), tra cui spicca Fabrizio Nicastro: mostruosamente bravo nell’affrontare la difficoltà del suo personaggio e alcune "prove" affidategli da Gaglianone (come un doloroso monologo di fronte a un bicchiere).

Vital

di Tsukamoto Shinya, Giappone

Venezia Orizzonti

E’ incredibile la qualità dei film orientali presenti a Venezia (anche se non li ho visti tutti, sono troppi…). E non è una mia deformazione maniacale, questo fatto è sulla bocca di molti, se non di tutti. Ed è incredibile come sia cambiato lo stile di Tsukamoto dalle sue opere precedenti: se un più deciso apporto formare era già in A snake of june, ma con molti rimandi al suo cinema precedente (la mutazione, il bianco e nero), Vital comporta un un deciso cambio di rotta. Ed è un bene, perché Vital è il suo capolavoro: un film sul corpo, e sul suo rapporto con la mente e la memoria, con il cuore e il sentimento. Visivamente curatissimo ma molto eclettico, fotografato e montato in modo semplicemente geniale, con vette impensabili di poesia, e una malinconia diffusa e disperata. Che si scioglie però nel meraviglioso finale, un funerale e un ricordo: si gioca con il film di Kim Ki-Duk il premio per la "chiusa" più bella del Festival.

Some gossip…

Sarò telegrafico. Ho fatto una foto con Tsukamoto (ora mi mancherebbe Wong Kar-Wai…). Ho sbattuto letteralmente contro Raul Bova all’Excelsior (bell’uomo, barba incolta compresa). Nicole Kidman mi ha fatto ciao-con-la-manina (giuro giuro giuro). E ho fatto una mezza figuraccia con Guido Bagatta (ahah).

Nota

Mi scuso con tutti i fan di Amelio, ma non scrivo del suo film, perché ho dormito per almeno tre quarti d’ora nella seconda parte, svegliandomi sui titoli di coda. Non dipende da lui, il film era bello, ma ero stanco morto. Mi rifarò.

Ferro 3 (Bin-jip)

di Kim Ki-Duk

Venezia 61 Concorso

Ho visto solo 4 film in concorso, ma ho trovato il mio Leone d’oro. Sa essere allo stesso tempo una dolcissima storia d’amore fatta di silenzio e sguardi, un’opera sulla ricerca dell’identità e sulla sua assenza, uno sguardo sospeso e ipnotico sullo stupore del mondo, un film sul visibile e sull’invisibile, sulla parola e sul silenzio. E bellissimo, anche esteticamente, con una fotografia splendida fatta di toni blu e bianchi. Una geniale soggettiva di un occhio dipinto, e un finale incredibile. Probabilmente il miglior film a Venezia quest’anno.

Izo

di Takashi Miike, Giappone

Venezia Orizzonti

Izo è una vera e propria esperienza, più fisica che visiva. Ci vuole pazienza, e stomaco. Ma quello che ne viene fuori, il discorso sull’irrazionalità umana, sulla guerra, è davvero straordinario. Il tutto inserito in una storia che mescola tradizione samurai (con rimandi a Kurosawa), cinema sperimentale (i filmati di repertorio a far da contrappunto) e soprattutto la mitografia nipponica (il rancore, i demoni). A tratti un po’ faticoso, e insostenibilmente violento: ma portatore di una visionarietà geniale, davvero unica e importante nel cinema mondiale.

Palindromes

di Todd Solondz, USA

Venezia 61 Concorso

Sinceramente mi aspettavo di più, da un autore come Solondz: Palindromi non è Happiness, il discorso è più diretto, la provocazione forzata e ricercata. Ma il cinismo coglie nel segno (e diverte) molto spesso, e il regista si conferma uno dei pochi cantori degli orrori americani, uno dei pochi ad avere il coraggio di sparare a zero su tutto e tutti, abortisti e antiabortisti, senza preoccuparsi del buon gusto (che non c’è), con insolito amore per gli inetti e i reietti della società. La Barkin era uno dei miei idoli sexy da giovanissimo: ieri sera l’ho vista, un po’ invecchiata, ma sempre bellissima.

Famiglia Rodante

di Pablo Trapero, Argentina

Venezia orizzonti

Poche parole: un film piccolo piccolo, divertente anche se un po’ scontato. Il bello di Trapero è che sa cogliere piccoli dettagli, regala perle sorridenti di cinema on the road. Affastella le sue storie corali, voci che si sovrappongono sotto l’effetto di una sceneggiatura-canovaccio: niente male.

Some gossip…

Mi sono fatto fare una foto con Takashi Miike e una con Kim Ki-Duk. Emotional.

Vista la molteplicità, dedico questo post a un solo film. E che film!

Three… extremes

di Fruit Chan, Park Chan-Wook, Takashi Miike

Venezia Mezzanotte

Il film collettivo dei tre grandi registi orientali (hongkonghese, coreano, giapponese) è un bellissimo, sorprendente, entusiasmante esercizio di stile.

Dumplings, l’episodio di Chan, è un’operetta cinica sottilmente misogina sulla mercificazione della bellezza, fotografata da dio dal grandissimo Doyle (il fotografo di Wong Kar-Wai).

Cut è l’episodio di Park, che prende il suo tema favorito, la vendetta, e lo butta inizialmente sul ridere, per poi terminare in modo davvero estremo e granguignolesco, ma con uno stile ineccepibile, virtuosistico, sopra le righe ma mai fastidioso, e spesso divertentissimo.

Box, l’episodio di Miike, è il migliore dei tre: un sublime pezzo di cinema, formalista fino allo spasmo estetico, un mediometraggio sul sogno e sul senso di colpa, che mette in crisi, con attese silenzi visioni e deja-vu, lo spettatore, per poi stupirlo inevitabilmente nel finale. Un piccolo capolavoro.

Meno boria, kekkoz, meno boria.

Mare dentro (Mar adentro)

di Alejandro Amenabar, Spagna

Venezia 61 Concorso

Io adoro Amenabar, e forse solo per quello (o per il sonno dell’altra sera) quest’ultimo film è una sonora delusione. D’accordo, è impeccabile, girato benissimo, ma di un’ordinarietà (e un pelo di ruffianeria) che mi ha irritato e annoiato, come un prodotto confezionato apposta per ricevere premi a frotte. Bardem non mi convince, niente da fare (e dal vivo sembra un animale). Le vette sono davvero poche, come i voli immaginari di Ramon, o la sua camminata sognata (ma a quel punto si richiama l’ultimo Bellocchio…), o un bellissimo flashback all’inizio. Se si fa finta che non sia un brutto segno per quel geniaccio di un faccia-da-topo, è un bel film: ma tutte quegli applausi (un quarto d’ora) e le lacrime di tutto il pubblico e le critiche entusiaste sono a mio avviso un po’ esagerate.

Vanity fair

di Mira nair, USA

Venezia 61 Concorso

L’adattamento della bravissima (almeno tecnicamente) Nair dell’opera di Thackeray inizia molto bene, ritmata commedia in costume, e finisce in modo solare e piacevolissimo. In mezzo, almeno un’ora di mortorio, che segue pedantemente le regole del genere e fa davvero fatica ad interessare. Troppo lungo, in ogni caso, dura non assopirsi. La Witherspoon, per essere del Tennessee, sfoggia un talento posh non da poco.

Un mundo menos peor

di Alejandro Agresti, Argentina

Venezia Orizzonti

Sono rimasto fuori, causa code chilometriche, dal film di Miyazaki (porca vacca) e ho ripiegato su Agresti, imbestialito, e senza aspettative. E invece ho trovato un’opera delicata, sincera, interpretata con garbo e talento, scritta molto bene, divertente, e infine abbastanza commovente da meritare un’applauso e una stretta di mano ad Agresti (molto commosso) e alla bravissima Monica Galan. Oh. La sezione orizzonti, insieme ovviamente alle Giornate degli Autori!, fanno parzialmente dimenticare i tanti problemi (orari, entrate, accrediti) di quest’edizione.

Some gossip…

Segnalo solo quattro chiacchiere con il mio talentuoso compaesano Stefano Cassetti (qui da noi alle Giornate per Il giorno del falco, che ho perso) e un passaggio in macchina (quasi sul mio piede) di Pacino e Irons. Il buon Johnny Depp (un cencio pallido) solo da molto lontano. Julie Depardieu è partita da poco, e ora qui da noi c’è ospite la bravissima e simpaticissima Lili Taylor: vado a pasteggiare. Che faticaccia, eh?

Ecco quello che sono riuscito a vedere tra ieri sera e stamattina. Come al solito, se passate dal Lido venite a cercarmi QUI!

Un silenzio particolare

di Stefano Rulli, Italia

Venezia Cinema Digitale

Un grandissimo sceneggiatore (e ora lo posso dire, grand’uomo), racconta con dolcezza e delicatezza infinite il rapporto con Matteo, suo figlio disabile. Nonostante il progetto, outing quasi necessario ma di un’intimità quasi al limite dell’imbarazzo (mai sfiorato), questo piccolo oggetto digitale (non lo definirei cinema) mi ha toccato, mi ha stretto il cuore, riempito di brividi. Un grande piacere stringere la mano a Rulli dopo la proiezione, davanti al casinò, e complimentarmi con lui.

Strings

di Anders Ronnow-Klarlund, Danimarca

Giornate degli autori

Da non crederci: un film di marionette. E, cosa ancora più incredibile: uno splendido film. Rivoluzionario, a suo modo. Una tragedia quasi-shakespeariana (con echi nordici) recitata da pezzi di legno intagliati, eppure commovente e trascinante, un grande dramma epico. Tematiche eccetera non ve le spiego nemmeno: se si parla di tragedia e di marionette, fate voi. Spero per tutti voi che non siete qui che lo distribuiscano in Italia. Ronnow-Klarlund è davvero un geniaccio, e una persona deliziosa: simpatico e gran figo. E ve lo dice un etero.

Tartarughe sul dorso

di Stefano Pasetto, Italia

Giornate degli autori

Sono combattuto tra il valore effettivo del film (piaciuto molto qui alle Giornate) e l’irritazione che mi ha portato un’impostazione che tende a trasferire il grigio di un luogo, Trieste, nel grigio dell’anima dei personaggi, pronti a qualsiasi cosa pur di soffrire. Non è costruttivo, non è il cinema che piace a me, ma senza dubbio ha un valore importante per il cinema italiano d’autore, e certa ironia e la diffusa maturità di Tartarughe sono ammirevoli per un’opera prima. La Bobulova (ormai presenza fissa da queste parti) e Rongione (ragazzo simpatico) sono comunque molto bravi, e Pasetto promette bene, o benino. Comunque la storia raccontata attraverso keyword lette su una tavola di Scarabeo durante una partita è davvero una signora idea: geniale.

Some gossip…

Ieri, soffiata di un amico: arriva Tarantino tra 10 minuti. Lo aspettiamo, arriva. Distanza: un metro. Gli sorrido, panico. Mamma mia. Che brutto uomo, che imbolsimento, crisco. E poi è sempre in giro con la Bouchet. Però che fascino, che genio. Tremavo. Per il resto, oltre a Rulli di cui ho raccontato qui sopra (era accanto a Nanni Moretti, che ho ignorato: non era cortese stringere la mano a entrambi), oltre alle delegazioni dei film della nostra sezione, ho avuto pochi incontri ravvicinati. Beh, Tommaso Crociera (Tom Cruise, insomma), ma solo da molto lontano: non me ne fregava più di tanto… Ieri sera dietro di me in sala c’era Emanuele Filiberto di Savoia con quel cesso di sua moglie: sai che figata…

Il tempo è quello che è. Lo stage mi porta via la maggior parte del tempo. E non ho tempo (né spazio) per postare granché. Ecco quello che sono riuscito a vedere ieri. Se passate dal Lido mi trovate QUI.

Volevo solo dormirle addosso

di Eugenio Cappuccio, Italia

Venezia Mezzanotte

Piccolo e onesto progetto, per parlare degli inquietanti cambiamenti nel mondo del lavoro e nelle relazioni formali tra gli individui. Il risultato è quello che è. Ci sono le due brutte bestie della commedia italiana: la regia televisiva e le macchiette. Per il resto, un Pasotti credibilissimo (avevamo visto bene) e almeno la capacità di tradire qualche aspettativa, giocando con il visetto da bravo ragazzo del protagonista, per poi chiudere con un finale cinico, che lascia anche un certo saporaccio in bocca. A voi decidere se sia un bene o meno.

Some gossip…

Ogni incontro è sorpassato dal volto soddisfatto di Quentin Tarantino a tre metri da me mentre si gusta La mala ordina di Di Leo accanto a Barbara Bouchet. Che momento. Tutto vero allora quello che dicono di lui… Batticuore, a mille. Segue per emozione il sederozzo di Scarlett Johansson e il faccione bolso di John Vincent Travolta Vega, sempre lì a due passi, nel Palazzone. Altri incontri ravvicinatissimi con Nichetti, Ghezzi, Serra, il trio Medusa (con cui ho fatto davvero il deficiente), e altri. Oggi ho pasteggiato con Barbora Bobulova (qui da noi ai Venice Days a presentare Tartatughe sul dorso). Gran donna. Baci a tutti dall’assolato lido veneziano.

Il tempo è quello che è. Lo stage mi porta via la maggior parte del tempo. E non ho tempo (né spazio) per postare granché. Ecco quello che sono riuscito a vedere ieri. Se passate dal Lido mi trovate QUI.

20 fingers (20 angosht)

di Mania Akbari, Iran/GB

Venezia Cinema Digitale

Piccolo film digitale iraniano. Sette episodi su mezzi di locomozione: il mondo si muove, ma è difficile smuovere le persone. Ovviamente (e giustamente) si parla della condizione della donna islamica, di integralismo, di emancipazione. Prodotto kiarostamico fino al midollo, è quello che ci si aspetta che sia, ma non è così pesante come si potrebbe pensare. Non male.

El amor, primera parte

di Registi Vari, Argentina

Settimana della critica

Sorta di tesi di laurea di quattro studenti di cinema argentini, e si vede: ci sono i sogni, la frammentazione del tempo, e tutti quei giochini che piacciono tanto a noi giovani studentelli. Tutto bene, però, perché si respira un’aria di libertà ammirevole. Commedia a volte fresca e divertente, a volte terribilmente malinconica. Di una sincerità travolgente. L’intento è una specie di antropologia del rapporto di coppia, con rimandi al cinema americano e francese, ma con un digitale temperato e senza fronzoli. Davvero ben riuscito, anche commovente. A mio parere, vendibile: speriamo di vederlo in italia.

Throw down (Rudao lunghu bang)

di Johnnie To, Hong Kong

Fuori concorso

Bellissimissimissimo. Al di sopra delle mie (già alte) aspettative. Grandissimo cinema.

Some Gossip…

Incontri ravvicinati con Mario Monicelli, un po’ meno con Spike Lee, un po’ meno ancora con Raul Bova. Ho pasteggiato con Michela Cescon. Gran donna. Baci a tutti dall’assolato lido veneziano.