The city of lost souls (Hyôryuu-gai)
di Takashi Miike, 2000
Ancora Takashi Miike. Siamo a 7. Sto diventando davvero come lui. Che ringrazio, visto che anche questo me l’ha prestato lui… Gli altri post su Miike comunque sono linkati qui.
Senza dubbio, mi sono trovato davanti ad un prodotto più lineare e sicuramente meno "personale" rispetto alla cinematografia dell’eclettico e pazzoide regista giapponese: Dead or alive per esempio, precedente di un anno, era più sperimentale, spingeva di più sul tasto dell’eccesso, trattava la materia gangsteristica con piglio più irrazionale e folle. Qui Miike si prende invece meno libertà, si limita a giocare con i personaggi e con i canoni come un vero autore cinephile, sbattendoci dentro anche un mexican stand-off (vedi alla voce Woo e Tarantino), una partenza action, e persino qualche notazione western.
Ma il risultato è ugualmente godibile e divertentissimo: anche solo per il riuscitissimo spettacolo, se si sopporta qualche violenza e un bel massacro finale – meno forte comunque che altrove. In suo aiuto c’è una sceneggiatura complessa e piena di equivoci, anche se un po’ risaputa, in cui tre etnie diverse (giapponesi, cinesi, brasiliani) sono tutte in combutta tra di loro ma comunque tutti, per un motivo o per l’altro, alla ricerca del protagonista e della sua donna.
Nonostante quanto detto sullo stile e sulla trama, non si deve pensare che sia un prodotto ordinario: piaccia o no Miike, questo è un aggettivo che non gli si può attribuire. Ma le particolarità non mirano solo a prendersi gioco dello spettatore (come i galli combattenti digitali post-matrix): basti pensare al ragno che diventa un tatuaggio (geniale), alla festa di nozze, o a quell’inquadratura fissa in cui Kei e Mario decidono di rischiare la vita: sembrerebbe impensabile, dopo tanta assurda frenesia e tutti quei jump cut nei primi minuti.
Prima del solito sberleffo nell’ultima inquadratura (ma è un marchio di fabbrica?), il finale è davvero amaro e malinconico [mi passate un post-kitano?], ma assolutamente inevitabile. E per questo bellissimo.
deve essere un bel film questo qua… comunque..approfittando dello sciopero odierno sono andata per prendere cronache marziane, ma dovrò aspettare almeno una settimana..poi potrò finalmente leggerlo..
:’-(
ce l’ho li da vedere, anzi, ho visto l’inizio, è un bel po’ incasinato, parecchio onirico…lo tengo li in attesa dei sub ita…
post-kitano?
checco scusami… ero nella foia… che faccio, la cancello ‘sta cazzata? però sai, con una spiaggia, e con un colpo di pistola fuori-campo… no? ok, no.
Ma dove li prendi questi film?
questo l’ho scritto: me l’ha prestato l’amico blogger. altri, dipende.
ps: la firma
Alla fine l’hai scritta per davvero sta cosa del post-kitano… Se vogliamo vedere questo finale come una sorta di citazione mascherata (o di rielaborazione), almeno togliamo quel post-, che sa di didascalico… In realtà è tutto uguale, ma forse non dipende da una “eredità” espressiva, in quanto il suicidio, il mare, il silenzio sono tratti espressivi significanti in quasi tutta l’arte giapponese… O no?
Teo
teo, chiedo venia!
(mm che bella nuca che hai)