Gli incredibili (The Incredibles)
di Brad Bird, 2004
Incredibile Pixar: quando credi di aver visto tutto, sa ancora stupirti. The Incredibles è una meraviglia. Come ha detto l’amico Ohdaesu, "chi vorrà trovare delle pecche sarà evidentemente un vecchio scorbutico impolverato represso e inacidito".
Oltre che di un film oltremisura divertente, che non perde un colpo, capace di sterzare e cambiare stile esattamente nei punti in cui è necessario, per tutta la durata del film si ha l’impressione un’opera matura e di una sorta di impronta autoriale. Intendiamoci, la Pixar è soprattutto un’industria, anche se un’industria di immenso valore, forse l’ultima grande industria dei sogni (insieme allo Studio Ghibli?). L’impronta, il marchio, è molto importante, e richiama più il nome di Lasseter che quello dei registi chiamati di volta in volta a mestierare, a gestire l’affare.
Ma a differenza di altri lavori, questo caso è un po’ diverso, e va moltissimo merito al regista e sceneggiatore Brad Bird. Già regista del buon Gigante di ferro, Bird è stato animatore per la Disney e regista per i Simpson, ed è con straordinario talento che riesce a unire queste due anime.
La prima è quella acuta e leggermente satirica che mostra il declino sociale del supereroe (un po’ come quello su cui si è soffermato Raimi, in modo diverso), con quadretti familiari impagabili ("Non valgono i campi di forza!", "Hai cominciato tu!") e l’impensabile immagine di un supereroe invecchiato e imbolsito, costretto nel suo minuscolo loculo lavorativo, e il cui unico nemico rimasto è la terribile burocrazia.
Dall’altra parte, l’anima disneyana, quella semplicemente stupefacente, quella del puro divertimento, tra cattivi e comprimari memorabili (la geniale Edna doppiata benissimo da Amanda Lear) e inseguimenti mozzafiato: uno per tutti, quello videoludico del piccolo Flash. I buoni sentimenti asciugati in una deliziosa apologia della famiglia, l’interesse dello spettatore tenuto vivo per quasi due ore (tempo infinito, in altri tempi) senza nemmeno una maledetta canzone.
Il tutto mescolato con grande coesione: le due anime non sono separate, e non si ha mai la sensazione di vedere due film diversi: come quando, durante un serratissimo inseguimento, i due coniugi litigano sulle uscite della tangenziale. E l’azione che domina il film non è nemmeno mera tecnica (comunque inarrivabile), ma è capace di ragionare sui meccanismi stessi dell’azione supereroica e sui canoni dei cartoon e dei fumetti. Nei tempi del buon orco verde è ormai una necessità, e l’autoriflessività si dà quasi per scontata: ma sono irresistibili idee come i dialoghi sui "monologhi dei cattivi", o quella davvero geniale della disastrosa casistica legata all’uso del mantello.
Ancora sopra la concorrenza il discorso sui target. Mentre i cartoni della Dreamworks si preoccupano sempre più di rivolgersi ad un target diverso da quello tradizionale (così Shrek è incomprensibile a un bambino), la Pixar è riuscita in questi ultimi anni a compiere il miracolo che il settore 2D della Disney aveva accantonato: svincolare l’opera da un target. Gli incredibili è forse la vetta di questo percorso: il film è appetibile a molti livelli, e, credo, per ogni palato capace ancora di entusiasmarsi ed innamorarsi al cinema.
Per quanto il capolavoro Pixar, e difficilmente superabile, rimanga il magico, burtoniano, perfetto Monsters & Co., Gli incredibili è ancora grande cinema di cartoni animati, e supera di lunghezza la pur bellissima favola di Nemo, pesce perduto. E ancora una volta, è anche grande cinema: un film di personaggi, di contenuti, di scrittura, di grandi idee. Ma soprattutto di sano e purissimo piacere. Peccato che ne sfornino solo uno all’anno.