Milano calibro 9
di Fernando di Leo, 1972
Sono sempre l’ultimo a sapere le cose. O meglio, a riscoprire gli autori già riscoperti già da tutti quanti (come con Bava, e c’è stato anche da discutere). Mea culpa: sono giovane e impreparato, e ho bisogno di consigli. Moda? Una moda sul cinema di genere italiano c’è, eccome: ma forse preferisco i consigli. Come quelli di chi, a Venezia, nella retrospettiva che io ho perso per intero, si è innamorato dei film di Fernando di Leo.
Milano calibro 9 è un film stupefacente per come tratteggia personaggi e racconta le sue storie senza bisogno di parole (l’unica pecca è infatti quando eccede in parole), a partire da un gesto o da uno sguardo. In questo senso è davvero magistrale la sequenza iniziale prima dei titoli, quasi muta, con lo scambio di pacchi tra le vie di Milano. Gran merito va anche agli attori: primo tra tutti Gastone Moschin, immenso, e un Mario Adorf perfettamente sopra le righe.
Ma il cardine del film è la regia di Fernando di Leo, che su una partitura musicale indimenticabile (di Luis Bacalov), e con un talento registico impressionante (per la gestione dell’inquadratura, del montaggio, per la direzione degli attori), riesce a costruire un film con un’incredibile statura morale (e politica, a suo modo), spietato e brutale ma di innegabile robustezza, che lavora in modo molto maturo e consapevole sui materiali ridondanti e marginali (le attese, i silenzi, l’innecessario).
E di Leo ci consegna una visione noir del mondo, fatta di amarezza, malinconia, disillusione e utopia, che non ha davvero molto da invidiare al noir francese o americano. Il finale, che ovviamente non racconto, è pura tragedia: davvero splendido.
"Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare!"
Come fare un post su “Milano Calibro 9″ senza usare la parola “Tarantino”.
Con “La Mala Ordina” (che vedrò molto presto) sarà un po’ più difficile, no?
Bella recensione (come al solito)…Dovevi aggiungere anke la parola “Kubrick”…Penso ke di Leo abbia visto almeno 300 volte “Rapina a mano armata” prima di avere l’ispirazione per quest film…
Luis Bacalov, non Bacarov
(piccoli pedanti crescono…)
ohaesu: distrazione, giuro. giochini tra cinebloggers: correggersi a vicenda
(ultimamente ne faccio un po’ troppi di questi errori stupidi…)
non hai citato philippe leroy, che dopo intepretato janez ed essersi fatto apprezzare cimentandosi nel vajont di martinelli, è riapparso in don gnocchi troppo vecchio e stanco e senza per avere ancora qualcosa da dire. bene invece hai fatto a dimenticare la bouchet, che in effetti andrebbe dimenticata. complimentissimi, come sempre del resto.
grazie mille, msbara.
beh, sì, anche leroy è grande in questo film, ma non raggiunge i livelli di Moschin e Adorf…
ah, janez…
Ma come, la Bouchet dimenticata? Io me la ricordo benissimo danzare seminuda alla sua apparizione ìsullo schermo.
Secondo me con La mala ordina non usare la parola “Tarantino” non sarà particolarmente difficile.
la bouchet era una superfiga.
però, sai quello che si dice in giro… stroode:silva=jackson:travolta… non l’ho ancora visto quindi non so… vedrò.
bè… con di leo è quasi impossibile non usare le parole don e siegel.
ciao simone
I “due americani” ne La mala ordina hanno un ruolo tutto sommato marginale, il grosso se lo giocano Adorf e Celi.
Anche io non conoscevo il tuo blog. Mo’ lo linko, così mi capiterà di passarci spesso. Sono contento che ti piacciano i film di Di Leo, è un genere sul quale il mio babbo ha lavorato molto. Credo che un suo film sia “Milano trema, la polizia spara”. Ma non ne sono sicurissimo.