Man on the moon
di Milos Forman, 1999
Forman trasforma un semplice biopic (che rispetta tra l’altro tutte le regole del formato, una per una) su un genio incompreso in un ritratto di una tarma del sistema il cui unico scopo (inconscio) era masticare il sistema stesso, farlo crollare su se stesso.
E l’unico modo per corrodere dall’interno un sistema basato sulla menzogna ("non voglio fare una sitcom, quella che ride è gente morta!") è mentire, ingannare, farsi beffe della verità. Ma il pubblico medio non poteva apprezzare "in massa" un atto anarchico travestito da comicità seriale. La trappola in cui cadde Kaufman fu quella di non rendere scoperto il gioco, di non fornire marche testuali che identificassero le sue burle come tali.
Il suo destino fu quindi quello di un’accettazione solo postuma: quasi un nuovo Amadeus, sui generis. Kaufman voleva diventare la star più celebre del mondo, e divenne invece un fenomeno di nicchia, come si suol dire di culto: nonostante ciò, l’ultima immagine che ci dà il suo volto è quella della serenità nell’accettazione della morte, e l’idea poetica (per quanto retorica) di un lascito ereditario gioioso e pacificato nei confronti dello stesso mondo che l’aveva tanto massacrato.
Il film non forse è un capolavoro, perché mantiene i lampi di genio solo all’inizio (con un atto molto kaufmaniano) e alla fine (più alcuni azzeccati momenti ellittici, come la sequenza di Taxi, in cui si nega anche a noi quello che aspettavamo con curiosità), cercando di dosare i mezzi espressivi per concentrarsi piuttosto sulla struttura semantica e sul rapporto tra bugia e verità, tra il pubblico di allora e quello ora presente in sala. Riuscendoci perfettamente: si ha davvero spesso la sensazione di spaesamento, di rapimento, di confusione. Tanto di cappello, visto anche il groppo di malinconia che ci lascia alla fine.
Memorabile comunque la prova d’attore di Jim Carrey: davvero mostruoso. Ancora di più se si pensa ai mille modi in cui le vite dei due attori si confondono: in alcune scene (soprattutto quella in cui Kaufman cerca di fare teatro sperimentale e il pubblico richiede a gran voce il tormentone) si dimentica persino che Carrey sta interpretando il ruolo di Kaufman. Eccellente.
il film non forse è un capolavoro. in effetti non forse non lo è. ma forman ha tenuto a bada carrey, sul cui esplosione di talento drammatico abbiamo scommesso allora e abbiamo riscosso con eternal sunshine. kaufman, ancora. e sempre. eccellente (al post). carino (al film). buon fine settimana, grandissimo.
claudio
ahah, non forse!
sono un coglione.
e l’ho pure riletto, oggi!
ahah!
kaufman è un nome interessante.
man on the moon secondo me è geniale anche nell’aver offerto a Carrey di gigionegiare e di andare per la tangente ma entro uno schema ben preciso di cinema. La follia di Carrey ingabbiata però dentro un segmento che delinea perfettamente il personaggio. Davvero bravissimo Carrey.
Forman resta il genio che è. anche nelle piccole cadute.