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Sin city
di Robert Rodriguez e Frank Miller, 2004
"The valkyrie at my side is shouting and laughing with the pure, hateful, bloodthirsty joy of the slaughter… and so am I."
Sin city è esattamente, niente di meno e niente di più, quello che ci si aspettava dopo aver visto (e rivisto, e rivisto) il teaser, mesi fa: non un adattamento cinematografico, ma traduzione filmica di uno dei più straordinari graphic novel mai scritti. Prese tre storie (più alcune parti) degli omonimi fumetti di Frank Miller (chiamato saggiamente e prudentemente alla co-regia), Rodriguez le riproduce con fedeltà filologica unica e straordinaria, che rende il film un "progetto" a sè stante e nuovissimo, nel suo genere.
Rodriguez ha compiuto un mezzo miracolo e ha dimostrato un discreto coraggio. Il miracolo è quello di essere riuscito, pur nella priorità evidente data alla cura nella riproduzione, a "profondizzare" la tecnologia, a dare una nuova dimensione a materiale bidimensionale, a far respirare luoghi e personaggi evitando il rischio di una fredda, anche se amorevole, riproduzione. I personaggi sono perfetti e altrettanto perfettamente "rifatti", ma non sono sterili: il film riesce a "vivere", e non solo a sopravvivere, grazie anche a ottime scelte di casting (enorme Rourke). Una vera manna per i fan.
Il coraggio di Rodriguez è stato invece quello di tenersi le sue libertà, produttive e linguistiche: le prime per la rinomata cocciutaggine di uno degli auteurs più assoluti del cinema americano contemporaneo (a prescindere da risultati altalenanti) per il modo in cui configura intorno a sè (a "casa sua") tutti gli aspetti della produzione (dal pre al post) dei suoi film. Le seconde per la scelta di mantenere la voce fuori campo continua e ridondante (che può irritare un cinefilo, non un purista) e di adottare un ritmo personalissimo, non sempre esplosivo ma spesso caldo e avvolgente, che rischia di annoiare un pubblico "standard" ma che meglio si addice alle storie che racconta.
L’unico demerito, e non propriamente irrilevante, del film, è quello già citato in apertura, non andare oltre le aspettative: è sì un bellissimo film, e probabilmente un’opera per alcuni versi rivoluzionaria, ma è talmente legato ai linguaggi di provenienza (con un po’ di paura di volarsene via) che stenta ad emozionare, e tantomeno a "straziare le budella" come chi vi scrive si aspettava.
Sin city è inoltre stato realizzato in un’ottica di nicchia, per iniziati: un film ad hoc "per gli appassionati". Ma creato da un appassionato stesso, il che giova non poco all’impressionante risultato finale. Tanto meglio, un po’ di gente riscoprirà le tavole di Miller: ma non mi sorprende che altri possano rimanere interdetti, o annoiati, o disgustati.
Robert Rodriguez ha in ogni caso compiuto un percorso unico (e si spera ascendente) nell’utilizzo estetico e narrativo della tecnologia digitale, e con Sin city ha realizzato il suo miglior film.
"Worth dying for.
Worth killing for.
Worth going to hell for.
Amen."