Dear wendy
di Thomas Vinterberg, 2005
I "dandies" sono un gruppo di ragazzini che, stanchi della paranoia "americana" che avvolge la loro storicista piazza-città-mondo, si chiudono in una vecchia miniera ad amare e venerare una manciata di pistole-feticci, con tanto di regole iniziatiche e rituali matrimoniali. E va bene che è tutta una metafora, o meglio una sineddoche, ma che diavolo di pratiche di immedesimazione ci sono in campo qui? Chi sono questi eroi imbecilli, che venerano e muoiono per un paradossale principio "pacifista"?
Von Trier scrive una specie di protesi di Dogville (riciclando anche un paio di idee grafiche) ma con ben altri risultati, e dimostra ancora una volta di non avere un briciolo di misura, nè una concezione della differenza tra l’idea morale e la provocazione fine a se stessa, dondolando tra il ridicolo e l’indigesto. A questo punto non sappiamo più se essere così ansioni per l’imminenza di Manderlay…
Dal canto suo Vinterberg, che in Festen aveva dimostrato una capacità di turbare gli animi con ben pochi elementi e con una scrittura feroce, qui, sebbene abbia tra le mani un’idea forte, una sceneggiatura "d’autore" e una splendida fotografia (il poco che rimane, insieme alla colonna sonora e al cast: peccato) fa un mezzo disastro, riuscendo solo a infilare strazi come la scena della "pistola traditrice" o le "presentazioni grafiche" dei personaggi, con una noia scricchiolante e arrugginita che rende Dear Wendy insopportabile (e non sgradevole, ahinoi!) dopo una mezz’oretta.
Deh, da queste parti è scomparso, neanche più a Firenze. ma arrivera, oh se arriverà… (come si vede, nonostante la tua stroncatura rimango curioso. Perché? Perché ci hai buttate due parole da professionista dell’anti-Von Trier che mi fan sentire “altro” dal recensore. Ovvero, a me potrebbe pure piacere.).
sono convinto che ti potrebbe pure piacere. ma ti assicuro che non ero prevenuto, anzi, ero più che fiducioso.
Non dico che fossi prevenuto; pero’ il fatto che punti di piu’ sullo sceneggiatore che sul regista mi fa pensare che come non ti sono piaciuti dei film che a me invece si (chesso’, Dancer in the Dark) o che ti siano sembrati “il fil piu’ brutto del mondo” film che a me son sembrati solo brutti (Idioti) o ancora che tu abbia avuto qualche perplessita’ pure su Europa (hehe) cosi’, chissa’ a me pure su questo potrei avere un’opinione diversa.
Allo stesso modo se accusassi un film di avere i difetti del peggior Greenaway (odio Greenaway), per i lettori a cui Greenaway piace il mio commento sarebbe abbastanza irrilevante.
Per chiarezza: “se accusassi” sta per “se io accusassi”
ho puntato più sullo sceneggiatore che sul regista per due ragioni, già chiare dal testo.
la prima è che questo è con evidenza soprattutto un film di von trier (“l’ultimo” von trier), la qual cosa merita di essere sottolineata.
la seconda è che ho visto festen da poco e mi è piaciuto molto, quindi attribuisco più colpe a von trier, perché i danni più grossi li fa la sceneggiatura, lasciando a vinterberg una colpevole ignavia.
comunque sia, qualcosa (segnalato) di salvabile c’è. pochino pochissimo.
su greenaway, gimme five.
Mi corre l’obbligo di precisare che i riferimenti di Lars von Triers sono invece, secondo me, assolutamente degni di nota.
Evidenti sono, infatti, le analogie tra i dandies ed la confraternita dei rosacroce.
Come si può agevolmente intuire anche dall’ ambientazione sotteranea della loro sede.
Così in basso così in alto.
Visionaria visione di un mondo divisto in tre ben distinte categorie di esistenti i dandies, i polizzotti e gli uomini normali.
E’ evidente anche qui che Lars vule parlarci della necessità di recuperare con urgenza la capacità e la volontà di aiutare il prossimo, ed in questo i polizziotti sono un’evidente metafora sui potenti e la loro ottusa incapacità i comprendere questo intento, o meglio questa necessità.
L’unica analogia che vedo con Dogville è proprio dal punto di vista narrativo che è, senz’altro, poco terreno.
Come pure il gesto di mostrare le armi alla luce del sole ribattezzato amare io lo trovo geniale.
E’ la messa in scena del regista Vinterberg a fare crollare tutta la complessità dell’impianto narrativo ed a non fare cogliere, come viceversa riesce a fare smepre Lars, il linguaggio marcatamente simbolico della narazione.
Non male gli attori peraltro.
Io personalmente attendo Manderlay come un bambino la mamma.
Un saluto.
Rob.