Niente da nascondere (Caché)
di Michael Haneke, 2005
Data la complessità di questo film e l’impossibilità di dire qualcosa di sensato a proposito di esso a prescindere da alcuni elementi narrativi, avverto che potrebbero esserci degli "spoiler". Mezzi salvati.
Questa non-analisi si vuole programmaticamente e provocatoriamente fredda su materiale caldo proprio quanto le note di ghiaccio dell’opera danzano silenziosamente sui corpi dei personaggi, sulla città di Parigi, sulla Storia. Dunque, l’ultimo film di Michael Haneke si costruisce su tre percorsi narrativi.
Il primo è un mistery: il giornalista televisivo Georges Laurent riceve delle videocassette che riprendono l’esterno della sua casa; indaga per sapere chi e cosa ci sia nascosto dietro. Agli occhi dello spettatore, non lo scoprirà. Il secondo è una vicenda familiare: il figlio dei Laurent sparisce; i genitori pensano ad un collegamento tra il rapimento con le videocassette, ma il ragazzo era solo nascosto per gelosia nei confronti della madre, che crede adultera. Agli occhi dello spettatore, si sbaglia. Il terzo e più rilevante è un dramma personale che traccia una linea concreta e Storica tra il passato e il presente, sia da un punto di vista personale (l’errore fatto da Georges nell’infanzia e poi nascosto – consciamente alla moglie, inconsciamente nell’inutile negazione del sensodicolpa – che condiziona la vita di un altro uomo) sia collettivo (la guerra franco-algerina e lo schermo che sullo sfondo racconta della guerra in Iraq e della crisi mediorientale). Agli occhi dello spettatore, inermi, si risolve in improvvisa tragedia e in una catarsi solo verbale, una condanna legata alla potenza del marchio morale.
Tracciate queste linee essenziali del film e distintene le parti, si possono individuare nel film due opposizioni fondamentali. La prima è diegesi esterna / diegesi interna: data fin dalla prima inquadratura, è la continua confusione – e tensione quasi insostenibile – tra ciò che vediamo sullo schermo, ciò che vede il protagonista in soggettiva, e ciò che il protagonista vede – e modifica, con il telecomando – sullo schermo della sua televisione. La seconda, strettamente conseguente, è la – ben più risaputa – vero / falso. O meglio, manipolazione del vero: determinante la scena in cui il programma televisivo di Laurent viene creato – montato, letteralmente – di fronte agli occhi dello spettatore. Ma non solo.
Ne consegue che Caché, straordinaria (ora possiamo dirlo) opera teorica, metateorica, e allo stesso tempo fisica e metafisica, è un film sul vero e sul falso, sullo sguardo e sugli schermi, e quindi un trattato a-cinefilo sul cinema stesso. E ne conseguono talune e talaltre ipotesi sui vari misteri del film; ma subito schiacciate dalla potenza del linguaggio, che si crede assente ed invece è composito e strabiliante, steso come un pensiero lockiano sul piano bianco dello schermo e reso corpovivente nonostante – limiti, questi, ma dichiarati – la decisa glacialità, l’assenza di un termine ultimo, il nulla esplicativo, l’esautorazione dell’emozione. Se non per quell’urlo – nostro – soffocato dallo shock e dal colore del sangue, in una stanza vuota e attraverso lo sguardo di chi, di non sappiamo più chi.
Per definizione, in ogni problema in cui si presentino dei dati e delle ipotesi, si prevede una soluzione. Ebbene, parte del fascino di questo asciutto e bellissimo film è proprio l’assenza di tale soluzione. O almeno, così crediamo. Oppure possiamo pensare e credere che "agli occhi dello spettatore" sia stata negata, sia stata nascosta, proprio quella verità che abbiamo aspettato invano; che quel trauma, zampata implacabile di un autore geniale quanto bellamente sadico, sia un flashback negato e quindi privo di veridicità; che quel bambino ci abbia preso in pieno, su sua madre; che in quella "camera fissa" finale, su cui scorrono i titoli di coda, accada qualcosa che ci è sfuggito. Sarà la frustrazione dell’attimo, o l’autoconvinzione, ma io ci ho visto qualcosa – che non so spiegare e di sicuro non mi aiuta ad uscirne.
E la cosa che sembra – sembra solo – più rilevante: il mistero delle videocassette. Possiamo credere che dietro a quella telecamera, a spiare i personaggi, non ci sia – metafisicamente – nessuno? Ma è davvero metafisica, se siamo noi, noi spettatori, costretti e piegati alla coercizione visiva di Haneke, ai suoi imprescindibili infiniti piani-sequenza, a spiare la famiglia Laurent?
Nota: il protagonista si chiama Georges Laurent, e riceve misteriose videocassette da qualcuno che lo spia.
Il protagonista di “Strade Perdute” di Lynch riceve anch’egli misteriose videocassette da qualcuno che lo spia, ma solo dopo che una voce (che si scoprirà essere la sua stessa, ops, spoiler) gli dice al citofono “Dick Laurent è morto”.
Un caso?
ti ringrazio per aver suggerito qualcosa su quel misteriosissimo finale davanti alla scuola, io non ci avevo pensato…
vedo che tu privilegi la lettura metalinguistica del film , ma si può ignorare totalmente quella socio politica ( la borghesia malata, la Francia e l’Algeria, le colpe dell’Occidente ) ? cmq complimentoni, davvero una recensione bellissima e densa altissimo livello
non è che io prediliga una lettura rispetto all’altra, tanto più che il film ne ha tante, e forse tante altre. semplicemente quella metalinguistica la mastico meglio, e non potevo scrivere tutto tutto.
in ogni caso, ne ho accennato quando ho scritto “una linea concreta e Storica tra il passato e il presente, sia da un punto di vista personale sia collettivo” eccetera eccetera.
comunque quello che “suggerisci” è assolutamente vero.
e grazie, comunque. davvero.
Capisco benissimo la fatica e la quasi impossibilità di dar voce e forma compiuta ai pensieri e alle idee che ti si affollano nella testa dopo aver visto (e amato) quel film.
Ci sei riuscito in maniera ammirevole, confermando e chiarendo idee che avevo anch’io, e in più proponendo nuovi spunti.
Personalmente non ho scritto nessun post perché mi sento come se mi mancassero le scatole in cui sistemare e ordinare tutta la bella roba che ho trovato. Tu invece le scatole ce le hai eccome.
Ehm. Parlo metaforicamente.
L’ho capita
ho iniziato a cliccare qua e la’, a commentare random su certi post-film del passato. Mi si perdoni questa intrusione cosi’ confusa e inconcludente. Sta di fatto che ho scoperto con piacere questo blog, che a differenza di altri cine-blog si fa leggere, non annoia e non spande spocchia similghezziana. In pratica una guida utile per andare al cinema e noleggiare roba vecchia sfuggita al passaggio in sala.
au revoir (sono arrivato a The Terminal…)
Oggi sull’Espresso la Tornabuoni dà per certa l’interpretazione del finale che ti è parso di intravedere.
allibisco
Ciaoo Rob
Non ho visto il film ma ho letto la tua recensione… Abitudine cattiva la mia! Da Lisbona ti seguo appena posso!
Un bacio, Ke’
una recensione molto arguta, complimenti. Condivido anch’io l’idea che il discorso metalinguistico sia preponderante nel film.
So che non è importante per gustarsi e comprendere il film, che è bellissimo ed è un atto coercitivo di haneke nei confronti dello spettatore per renderlo un morboso voyeur…. ma proprio per questo motivo, io ho visto di sicuro sullo scorrere dei titoli di coda (o poco prima) il figlio che parlava col figlio dell’algerino suicida (non ricordo un nome, l’ho visto da un po’). Ne sono certo. Oppure ero solo ubriaco, ma in questo caso darei buona la prima.
Enrico
enrico, anche io li ho visti, in molti li hanno visti, non tutti ma in molti.
è comunque quello di cui accenno nel post, solo che non volevo spoilerare.
A mio avviso é un opera post-post-moderna di pura follia. NON é cinema. E, in un certo senso non é niente. Se come dici tu “siamo noi” dietro quell’inquadratura costretti a guardare ecc. ecc. allora siamo alla PURA MASTURBAZIONE.
Ma questo é un mio modestissimo giudizio a freddo.
p.s. Kekkoz: può darsi che come dici tu che il fascino del film sia l’assenza di una soluzione – ma se é così é un’idea vecchia, trita e ritrita.. roba che – forse – nei primi anni Novanta sarebbe stata interessante, ma nel 2005 diventa, a mio avviso, persino un “DIFETTO”.. Se non tutto, molto sa di già visto.. potrei citare più di 10 film CHE SONO VENUTI PRIMA, e CHE SONO RIUSCITI AD ANDARE OLTRE…. Non ci siamo.
Erodadadams
letto oggi il post per non sciuparmi la sorpresa.
anch’io ho visto i due figli parlare prima dei titoli di coda.
un mio amico che l’ha visto due volte dice che i figli si conoscono (pare che uno degli amichetti di pierrot stia vicino all’algerino) e che probabilmente hanno architettatto la cosa insieme.
comunque un grande film,con mille chiavi dilettura, tutte valide e interessanti.
lavicenda di majid ha un sapore quasi kafkiano: se davvero lui non c’entra nulla con le cassette si uccide per potersi finalmente liberare di georges e dell’influenza che ha sulla sua esistenza.