A bittersweet life (Dalkomhan insaeng)
di Kim Ji-woon, 2005
Sun-woo, mafioso freddo, insonne e fichissimo, fa l’errore di sottovalutare le conseguenze dell’amore, e finisce in amarissimi cazzi: ne segue sanguinosa vendetta.
L’ultimo film del regista di Two sisters, presentato a Cannes quest’anno, ha diviso i cinebloggers come pochi altri. Un vero e proprio celebrity deathmatch: da un lato del ring i vistosi apprezzamenti: Cineblob, Hellbly e gli Spietati. Dall’altro le feroci detrazioni: Ohdaesu, il Topo modesto e Murdamoviez (un breve intervento su Scrive.it). Tocca a me fare l’ago della bilancia: Daljomhan insaeng è un film furioso o solo violento? Formalista o manierista? Supercool o superfighetto? L’ago pende sul sì.
Kim Ji-woon, ce n’eravamo accorti, è un gran bel regista. E il film è uno spettacolo visivo sopra la già curatissima media del cinema popolare coreano: difficile negarlo. Quello che può far innervosire è il pastrocchio citazionista: in una stroncatura questa motivazione ci sta come il cacio sui maccheroni. Kim riesce ad infilare i primissimi piani di Sergio Leone, il montaggio frenetico di Tsui Hark, l’elegia samurai di Melville, i corridoi vendicativi di Park Chan-wook, il grottesco situazionismo di Tarantino e un finale che viene dritto dritto da A hero never dies di Johnnie To.
Quello che però sorprende è che il materiale è amalgamato ottimamente, che non si sente il peso delle derivazioni, e che le scelte concettuali del film – inusuale e modaiolo al tempo stesso – funzionano alla perfezione. Mostra la corda per altre ragioni, perché all’inizio scricchiola e alla fine stroppia. Ma la parte centrale, con la sepoltura nel fango e il duello nel capannone, è fantastica. E anche il finale – anche se esagerato e compulsivo – è davvero esplosivo.
E così, dopo un po’ di noia e un buon terzo di film in cui ci si chiede dove stia andando a parare, ci si ritrova a fissare inebetiti lo schermo come accadeva le prime volte in cui scoprivamo il cinema coreano, un cinema brillante e moderno, senza troppi peli sulla lingua né remore etico-visive, a volte violentissimo ma insinuante, non sempre bilanciato ma emozionante. Proprio come A bittersweet life.
non credo di aver dimenticato nessuno nel “deathmatch”.
in caso contrario pregasi incollare permalink.
Devo raccogliere il coraggio per vederlo una seconda volta.
Son d’accordo, comunque, su due cose: il protagonista, fichissimo, e la parte centrale del film, accattivante, se non fosse che poi si perde e si trascina, svuotandosi progressivamente.
La sottotrama che ruota attorno agli abat-jour.
Anche quella ti ha soddisfatto?
@ohdaesu: beh, quando lei riceve la scatola e tu SAI che cosa c’è dentro, e poi la apre e… sì, mi è piaciuta.
non l’avete notato che ho scritto “kim ki-woon”? si vede che smanio per vedere The Bow…
ora correggo.
bravo, ti sei schierato dalla parte giusta del deathmatch: sono fiero di te e poi è vero: l’amalgama citazionista qui funziona, checcé ohda ne dica…
the bow rimane un “kim ki-duk on autopilot” non ti aspettare troppo ^__O
Cineblob
ciao bello il blog
è imho un prodotto sterile e modaiolo.
Ha ragione cineblob su tutta la linea… io dico il contrario solo perché al pubblico piace la nostra finta rivalità
siete un po’ come quel cantante e quella troiona.
situazionismo non c’è neanche su wikipedia, e l’ultima volta che l’ho letto era su Duellanti. ho detto tutto.
(ci spieghi?)
i situationisti erano un movimento politico-culturale della metà del secolo scorso.
ma non c’entra una fava.
ho solo giocato con la parola “situazione” – faccio spesso di queste cazzate.
[tanto più che "situazionismo" era un termine rinnegato dai situazionisti stessi.]
comunque, se vuoi approfondire su Debord e compagnia bella:
http://en.wikipedia.org/wiki/Situationism
Sì. Io sono il cantante.
O.T.: stasera vai a vedere “il vangelo secondo precario”, è gratis in varie sale di tutta Italia (solo oggi) e l’hanno girato amici miei: son curioso di sapere cosa ne pensi.
accidenti, a bologna era oggi alle 16:30…!
aggiungo al minestrone che l’intreccio è scopiazzato da Crocevia della morte dei fratelli Coen: peccato che il legame tra boss e sottoposto non sia altrettanto complesso.
filmetto, secondo me, manierista senza il minimo brivido
lonchaney
ho iniziato a vederlo poco fa. finirò domani.
ma kim jee won mi piace sempe molto, qui ci sono anche calci e pistole, probabilmente anche la mia recensione sarà a favore:)
il deathmatch si fa sempre più violento, baby.
è murda che è sterile e modaiolo ;P
cineblob
ho amato alla follia questo film.
ne ho scritto qualche giorno fa, dopo che l’ho visto al Korea film festival…ma finchè il sito non la pubblica non posso postarla nel mio blog e schierarmi a dar man forte ai difendori di Kim Ji-woon!
ahrg..
Appena visto a bologna al cinema.
Premettendo che – caro Kekkoz – mi hai un po’ deluso perché: 1. Non mi parli del finale 2.Non mi dici davvero PERCHE’ ti é piaciuto 3. Continuo a ritenere che tu come altri continuiate a sopravvalutare un po’ troppo il cinema coreano..A me é piaciuto.
Solo il fatto di unire situazionismo e ultra-formalità é geniale. Non so se sia poi così privo di “remore etico-visive”, alla fine tutto mi sa sempre di parabola moralisticheggiante orientale a cui non si sfugge (non solo in questo e in altri gangster movie, ma anche negli horror alla Miike), ma questo é fatto maledettamente bene, e ti tiene incollato fino all’ultimo fotogramma.
ma come c… ve fanno a piacere questi film,vi piacciono solo perchè sono alternativi,”situazionisti” pieni di “remore etico-visive”?che vuol dire questo film,quale è il suo significato?che cosa vuole dire?che storia del c…
addio cinema coreano