Dear wendy
di Thomas Vinterberg, 2005
I "dandies" sono un gruppo di ragazzini che, stanchi della paranoia "americana" che avvolge la loro storicista piazza-città-mondo, si chiudono in una vecchia miniera ad amare e venerare una manciata di pistole-feticci, con tanto di regole iniziatiche e rituali matrimoniali. E va bene che è tutta una metafora, o meglio una sineddoche, ma che diavolo di pratiche di immedesimazione ci sono in campo qui? Chi sono questi eroi imbecilli, che venerano e muoiono per un paradossale principio "pacifista"?
Von Trier scrive una specie di protesi di Dogville (riciclando anche un paio di idee grafiche) ma con ben altri risultati, e dimostra ancora una volta di non avere un briciolo di misura, nè una concezione della differenza tra l’idea morale e la provocazione fine a se stessa, dondolando tra il ridicolo e l’indigesto. A questo punto non sappiamo più se essere così ansioni per l’imminenza di Manderlay…
Dal canto suo Vinterberg, che in Festen aveva dimostrato una capacità di turbare gli animi con ben pochi elementi e con una scrittura feroce, qui, sebbene abbia tra le mani un’idea forte, una sceneggiatura "d’autore" e una splendida fotografia (il poco che rimane, insieme alla colonna sonora e al cast: peccato) fa un mezzo disastro, riuscendo solo a infilare strazi come la scena della "pistola traditrice" o le "presentazioni grafiche" dei personaggi, con una noia scricchiolante e arrugginita che rende Dear Wendy insopportabile (e non sgradevole, ahinoi!) dopo una mezz’oretta.