A history of violence
di David Cronenberg, 2005

Tre disclaimer.
Primo è che ci sono degli spoiler, ma come nel caso dell’ultimo Haneke, mi è risultato impossibile prescinderne. Quindi, se non l’avete visto, leggete a vostro rischio, e anticommercialmente vi sconsiglio di farlo.
Secondo
è che questo post è lunghissimo, insopportabilmente lungo, ma ha avuto una nascita scontrosa e difficile. Se la natura del mio blog e la mia pazienza lo concedessero, lo modificherei ogni giorno. Ho scritto tanto, ma ci sarebbero molte altre cose da dire.
Terzo: se non avete voglia di leggere questo post, sappiate che questo film è una bomba, uno dei migliori film dell’anno. Andate e vedetevelo.

Corro al cinema il venerdì pomeriggio, al secondo se non al primo spettacolo disponibile: un film che ho atteso, quest’anno, quanto pochissimi altri. Chiaro che poi uno non debba nemmeno aspettare di essere definito prevenuto che già lo pensa di se stesso. Insomma, per farla chiara: l’accoglienza per l’ultimo Cronenberg è stata altrove freddina, eppure A history of violence mi sembra davvero un film di grande, imponente, statura: che sia io a vederci male, accecato dalla passione per il regista canadese? Buona cosa è cercare di analizzare il film in modo forse semplicistico ma efficace, ossia attraverso tre possibili livelli di lettura di una delle due parole-chiave del titolo: violence.

Prima di tutto, A history of violence è una storia personale – ma senza i classici "movimenti" del racconto morale – ed è la storia di un uomo che ha ucciso, e che per preservare la flebile e falsa identità che faticosamente si è creato per dimenticare il suo essere "natural born killer", uccide ancora. In questa chiave il film è durissimo e coerente: la storia di Tom diventa il bivio di un sacrificio d’amore, per sè e per la propria famiglia, un dilemma sanabile solo con la violenza stessa: bisogna "sporcare" per sempre la bambagia creata per difendere i propri cari da quel mondo la cui violenza Tom ha visto in faccia, e uccidere ancora. E’ questione di sopravvivenza: la decisione è di intraprendere questa strada, di rinunciare alla propria "nuova vita", ai propri "privilegi". Tutte cose che, tra l’altro, negli occhi lucidi e umani del mostruoso William Hurt sono meno che insensate. E non escludiamo sia lo stesso per noi, che guardiamo a questa "normalità" con un certo scherno: noi lo capiamo dall’inizio, che è tutta una bugia.

La consapevolezza è quindi che la violenza è ineliminabile, profonda, e radicata nell’animo di ciascuno: per questo motivo l’uomo che torna a casa alla fine, con le carte della sua schizofrenia sociale ben scoperte e con gli occhi umidi di lacrime, non è più il padre amoroso, ma Joey, il killer che Tom si era dimenticato di essere. Quella non è più, nemmeno, la sua famiglia: la moglie ha imparato che anche la sua sessualità – adolescenziale e pudica – era una menzogna per se stessa, così come il figlio ha rinunciato a nascondere la sua repressione sotto l’atteggiamento calmo e intelligente, esplodendo. E risultando, si nota, più umano e "simpatico" a noi spettatori in questa veste "violenta".

Ma lo splendido finale "aperto" e silenzioso va considerato davvero, pur se sconvolgente, tremendo e abissale, come puramente negativo? Vero che la riconsitutizione familiare è ormai impossibile, perché l’orrore del mondo è entrato tra le pareti della casa oscurando le luci, ha scurito i volti e reso dubbiosi gli sguardi, rendendo impossibile anche solo guardarsi negli occhi. Ma almeno c’è ancora la speranza dell’innocenza che è poi ignoranza (la figlia che apparecchia la tavola per il papà, quella stessa figlia tenuta all’oscuro del mondo: "non esistono i mostri!"), almeno si è smesso di basare tutto sulle bugie, almeno ci si può dire la verità, ora. E la verità è che il mondo è così, un luogo di dolore illuminato da piccole, ridicole ma umane, seconde occasioni.

Il secondo livello è forse quello meno esplicito e forse meno rilevante, per quanto sia un valore aggiunto non indifferente del film: quello della metafora sull’America. Non politica o anti-Bush come si può pensare senza aver visto il film: la provincia calma e addormentata (come dipinta dall’amico poliziotto in una serie di poche ma azzeccatissime battute) in cui gran parte del film è ambientato rispetta di fatto tutti i canoni della colorata e tranquilla beatitudine sotto a cui battevano il malessere e i vermi del cinema di Lynch e di altri autori.

La violenza che scaturisce è quindi quella di una nazione che non ha ancora imparato a fare i conti con i propri demoni, una nazione che ha una centenaria "storia di violenza alle spalle", una nazione che sovente esplode, e che crea attraverso i media – e la cosa è rilevante nella prima parte, anche se poi passa in secondo piano in seguito – il mito "tutto western" dell’uomo normale che diventa vendicatore o punitore. Scordandosi poi che le news vanno e vengono, e che due colpi di pistola non cancelleranno mai la voglia insensata di morte – e la smania scopofila di omicidi – che scorre nelle vene, e nei cavi elettrici, del popolo americano. Proprio lì, già dal mattino, a colazione, dentro nella tazza di latte e cereali.

E quindi, ricollegandoci a questo, la terza accezione di violence può essere quella (spesso azzardata ma mai casuale in un simile contesto) metalinguistica. In questo senso, la rappresentazione della violenza, e l’etica della sua rappresentazione. La violenza è ritratta dal regista in modo molto preciso e matematico, secco ed estremamente "sanguigno". Cronenberg prende le distanze da ogni tipo di estetizzazione, evitando in tutti i modi di sottolineare il valore del "gesto" (omicida, o semplicemente violento), ma puntando lo sguardo sulle conseguenze, sui corpi sventrati o aperti dai colpi di pistola, sugli occhi terrorizzati di fronte all’orrore della violenza stessa. Ci vuole un bel coraggio, con i tempi che – nel bene e nel male – corrono.

Per dirne una: la bambina-testimone dell’incipit, quanto assomiglia alla piccola figlia della prima vittima di Uma Thurman nel primo Kill Bill? Eppure gli sviluppi sono ben altri, e ben altro è lo sguardo. Ancora: senza soffermarsi morbosamente, ma sconvolgendo con un fuoricampo come pochi riescono ancora a fare. Così, il film di Cronenberg è, tra le righe, anche un atto politico e coraggioso di riconquista della dimensione più tragica e più "materica" della violenza, da troppo tempo – secondo questa prospettiva – preda di epigoni del grottesco tarantiniano (lungi da me condannare Kill Bill: qui si parla di trend) e di violenzucce bidimensionali e "giocose". Non c’è nulla da ridere nella violenza: se non vi siete divertiti con A history of violence, forse l’ultima cosa che Cronenberg avrebbe voluto da voi è farvi divertire.

Quanto detto può servire a riflettere su quanto il film sia complesso e stratificato, ma è abbastanza per spiegare perché sia "un film di grande, imponente, statura"? Probabilmente sì, almeno in parte e almeno per quanto mi riguarda. Ma forse bisogna semplicemente riadattare e moderare – non in senso qualitativo – le proprie aspettative: A history of violence non è un "thriller" – così come ci è stato presentato – bensì un film chirurgico e riflessivo. Anche se sa giocare in grande stile con i generi e i loro stilemi (il western, il noir, il melodramma). E non è un film del tutto cronenberghiano, cosa che può far imbestialire molti fan, ma la sua chiarezza di intenti e la difficoltà di un fraintendimento non ci rendono inviso questo "nuovo corso" del suo cinema, che taglia comunque il cuore con un’accetta, e ancora lascia il cervello al proprio posto.

Al di sopra, infine, in superficie, una mise en scene incredibile: un attaccamento stranissimo eppure "caldo" ai primi piani dei personaggi, un incipit incredibile in pianosequenza che ricorda i quadri di Hopper, molti spunti "grafici" che comunque non scadono mai nella stilizzazione (trattandosi dell’adattamento di un graphic novel, tanto di cappello). Tutto intorno, una storia dagli sviluppi complessi interpretata da attori formidabili – comprimari da applausi, ma anche Mortensen è perfetto – e una manciata di scene, tra cui le (due) scene di sesso, che si impiantano nella memoria come tatuate a fuoco.

Una bomba.

29 Thoughts on “

  1. sì sì l’ho visto king kong, ma direi che per oggi è abbastanza.

    a domani.

  2. A dir la verità sia la critica italiana che quella americana sono entusiaste del film: non dare troppa importanza al nostro mondiciattolo.

  3. lo so, ma se il nostro mondiciattolo rispecchia di più il mondo degli “spettatori” o dei “cinefili”, allora si può dire che l’accoglienza è stata freddina, se non propriamente delusa.

    insomma, leggo un po’ dappertutto “sì, ma da cronenberg mi aspetto un po’ di più”. io, nel dettaglio, francamente, no.

    evviva la critica, per una volta.

  4. gran bel post kekkoz, non sono del tutto d’accordo con un paio di questioni sollevate, ma concordo con il messaggio di fondo:

    una bomba.

    ps:

    “quando mi immagino andrea, me lo immagino che ride oppure che manda qualcuno affanculo”

    e grazie per questa perla ^__^

  5. E’ vero che la violenza del film è una violenza dicersa da quella che si vede solitamente, diversa dalla solita violenza perchè è indagata e pornograficamente analizzata, ma il film non mi ha lasciato così entusiasta, mi è sembrato più un disperato tentativo di fare qualcosa di buono di un progetto scadente. Troppe le orride banalità di cui il film è tempestato e per le quali non mi sento di dare la colpa a Cronenberg, ma, fatto sta, ci sono.

    Alla fine purtroppo, secondo me è un filmetto diretto da un grande cineasta che regala qualche perla, non di più.

  6. Il nostromondiciattolo non rappresenta proprio niente se non se stesso.

  7. Complimenti per l’analisi. Di cui condivido molte parti.

    Una domanda (SPOILER!!!!) terra-terra sulla trama

    spoiler

    spoiler

    (ora la faccio)

    (attenti, eh?)

    SPOILER ultimo avviso!!!

    Ma i cadaveri dei tre uccisi in giardino… dove sono finiti?

    Questo è uno dei buchi di sceneggiatura “apparenti”, secondo me. Perché io ho un’idea, ma vorrei sapere la tua.

  8. i cadaveri li porta via la polizia no? non credo li seppelliscano in giardino.

    a me che son pura spettatrice è piaciuto, non lo considero una bomba ma mi è piaciuto.

  9. che è il mondiciattolo?

  10. il mondiciattolo sono i cineblog.

    ma sì, facciamo che li porta via la polizia. sinceramente non mi sono posto il problema, non penso nemmeno che lo sia.

  11. Un triplice omicidio è un reato federale, roba da Fbi insomma. Invece si vede solo lo sceriffo… neanche un inviato di una tv locale. Sì, ok, in effetti non cambia nulla. Però…

  12. latifah: se ti vengono davanti casa dei brutti ceffi in america è un tuo diritto farli fuori.

    “fuori dalla mia proprietà!” è la frase che convenzionalmente dà il via alla carneficina.

    kekkoz: un pò come i furbetti del quartierino :D

  13. Recensione fluviale e necessaria, linkata senza dubbio… quest’ultimo Cronenberg è stato una sorpresa, bisogna dirlo (almeno per me)… interessante poi notare come le due (ormai) celeberrime scene di sesso abbiano ricevuto un riscontro notevole nel mondo del web…

  14. anche a me il film di cronenberg è piaciuto molto, veramente notevole. Complimenti per la bella recensione!

  15. Non sono un esperto di legislazione americana, ma dubito che un triplice omicidio sia un reato federale. Sennò Al Capone lo incastravano più facilmente.

  16. “Murder itself is not a federal — is not a federal crime. If you commit a murder in a post office, in an Indian reservation, then maybe murder — then murder is a federal crime.”

    Jeffrey Toobin, CNN Legal Analyst

    qui

  17. utente anonimo on 28 dicembre 2005 at 19:03 said:

    questo film l’ho molto amato, molto pensato. meraviglioso. la regina pigra

  18. bella rece, notevole il disaccordo. specie sul primo livello d’analisi, dove mi sembri teso a nobilitare considerazioni banali (quelle del film, dico).

    interessante, nel post e nei commenti, lo spunto (omesso da me, ma ormai non lo cambio) sul comportamento del microcosmo sociale e delle autorità.

    tre palle rosse, non più.

    sulle scene di sesso, mi accodo.

    mentre pare generalmente sfuggita la bruttezza, quasi johnwatersiana, della bambina di Stall

  19. quando ti leggo in questo modo mi ricordo perche’ la prima volta che sono capitata da te ho pensato di linkarti al volo e perche’ ti leggo con affetto… questo post e’ una bomba, e forse e’ per questo che lo scriveresti ancora… non ci si accorge mica spesso di quel che va bene…

    E avrei fatto meglio a scrivere il mio perche’ ora non ne avro’ piu’ il coraggio… ma questa e’ un’altra storia XD

    Misato-san

  20. L’ho appena visto.

    E poi ho appena letto la tua recensione.

    Un gran bel post Kekkoz complimenti.

    Adesso che cazzo scrivo io?

    Avevo pensato uscendo dal cinema ad un post brevissimo.

    Una roba del tipo:

    Non avete chiara la differenza tra il bene ed il male? Bene allora non adnate a vedere “a history of violence”. Ma se proprio volete farlo, cosa che, peraltro, non sconsiglio affatto, state lonani dalle prime file … il sangue vi sporcherebbe i vestiti.

    Io ci ho visto tante cose in questo film.

    Comunque il tuo post lo linkerò quando posterò qualcosa. Per ora solo un 3,5 su cineblgger anche se per me i voti non hanno senso.

    Un saluto.

    Rob.

  21. utente anonimo on 3 gennaio 2006 at 18:12 said:

    bel film. un western ben fatto.

    non rimarrà nella storia perchè è orginale ma non originalissimo.

    maria bello è tautologicamente bella.

  22. utente anonimo on 5 gennaio 2006 at 19:34 said:

    beh, direi che questo è il tuo miglior post.

    bravo davvero.

    lonchaney

  23. che strano vederti dilungarti così… ma fa sempre piacere leggerti :)

    secondo me un altro degli aspetti affascinanti di questo film è la sua durata contenuta. in un’epoca ipertrofica Cronenberg gira un film violento e freddo di novanta minuti. arriva e taglia come un bisturi. ha una forza incredibile.

  24. Hai ragione ci sarebbero anche altre cose da dire: come il giudizio sulla famiglia (che regge finchè reggono le bugie) e il fratello sommerso di ricchezza inutile. la mia scena preferita è quella nell’ospedale

  25. Atroce.

    Anche a me la sequenza iniziale ha ricordato fortemente Hopper.

  26. 1 complimenti per il post, l’ho letto almeno 10 volte ed è sempre un piacere, inoltre l’ho stampato e fatto leggere ad amici che non hanno dimestichezza con il web, complimenti.

    2 io trovo la “cortezza” piu’ che lunghezza del film un difetto, lo posterò a breve termine.

    3 non ho trovato il post su spider. io sinceramente preferisco il cronenberg versione attuale da spider in poi.

    l’hai visto spider? (domanda retorica)

    ciao.

  27. se ti interessa ho postato una mini guida senza pretese sui film più attesi nella prossima stagione. ciao

  28. l’ho visto adesso, dvd, in mega ritardo. io non ci credo e mi stanno profondamente sul cazzo i “ma io da cronenberg [leggi: qualsiasi altro regista] mi aspetto di più”. Perchè “rispetto a cosa” ti aspetti di più?

    Comunque: più che sulla violence, adesso i neuroni vanno sulla history

    Complimenti per il post, il tuo blog è un punto di riferimento nel “mondiciattolo”.

  29. Meravigliosa analisi “a caldo”, interessanti soprattutto gli spunti che riguardano i mutamenti subiti dagli altri componenti della famiglia parallelamente a Tom/Joey e la metafora politico-sociale.

    Per me “A History of Violence”, come tutti i film di Cronenberg, è fatto di ingressi, di una dicotomica realtà basata sul continuo scambio interno/esterno, che qui s’incarna nella manifestazione (celarsi/disvelarsi) della violenza.

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