E tu vivrai nel terrore – L’aldilà
di Lucio Fulci, 1981
Basta leggere un po’ in giro per il web (e non solo) per accorgersi che L’aldilà è probabilmente l’horror più amato dai fan di Fulci. E non solo. Perché è vero che, un quarto di secolo dopo, gli splendidi pupazzi di Germano Natali hanno fatto il loro tempo, così come la base narrativa e iconografica del film. Ma è vero anche che L’aldilà è un film che mostra una libertà espressiva e una spregiudicatezza rappresentativa che ai nostri tempi sarebbero impensabili.
Così il film non è solo capace di finezze visionarie come la splendida scena dell’autostrada deserta, o la fuga – e la morte – di Emily, o il finale mefitico e sospeso nella nebbia, che sono poi le cifre che si contano per elevare questo film sopra la media del suo genere. La sua forza è anche la visione della morte, che viene portata sempre un passo più in là di quanto sia usuale, o sopportabile. Artigiano dal talento sintomatico, Fulci trasporta sullo schermo un vero inferno di sangue, carne e liquidi corporei, inserito che sia nel biancore di una sala obituaria oppure nei sotterranei melmosi di un albergo in rovina. Ed è difficile non distogliere lo sguardo, in alcuni punti.
Il suo esempio, quando è stato seguito, è stato spesso banalizzato, creando molto brutto horror anni ’80. Qui era invece corrosivo e potente, come la lisciva che scioglie i corpi lasciando solo un rimasuglio quasi umano, pronto per l’eterno dolore. Un film che pur mostrando i suoi molti limiti (e non è questione d’età), lo fa con una sincerità e una schiettezza che manca al cinema di genere (non solo italiano, che non esiste quasi più) da troppi anni, e che provoca persino stupore.
Cinzia Monreale con gli occhi bianchi è una presenza orrorifica quasi fatata, ma il meglio lo danno i famelici ragni che si mangiano, non senza una discreta avidità, il faccione di Michele Mirabella.
Se lo chiami artigiano un mio amico si incazza (“Fulci è un Autore”) anche se dalla rece di capisce benissimo che l’accezione non è per nulla negativa.
Ciaoo Rob
Col “faccione” (omissis…) che si ritrova ora, più che mai, sarebbe un bel mirare …Mirabella divorato dai ragnoni!
Concoirdo con sincera schiettezza che caratterizzava quel cinema di genere – artigianale nel senso “rinascimentale” del termine – che purtroppo in Italia non esiste più. E non (solo) per colpa di Berlusconi…
Un saluto.
no, l’accezione non è affatto negativa, e tra l’altro non sono convinto né del fatto che fosse un artigiano né del fatto che il suo talento fosse sintomatico. ho solo semplificato un parere universalmente diffuso su cui non ho ancora un opinione ben stabilita.
Io non ho un’opinione ben stabilita semplicemente perché conosco pochissimo Fulci. Anche io mi facevo portavoce di un parere che è ormai sempre più diffuso.
Ciaoo Rob
Ma “Paura nella città dei morti viventi” com’è?
Di Fulci è bellissimo l’inizio di “Quella villa accanto al cimitero”… che ricorda un po’ Jean Rollin.
Ce ne fossero ora di artigiani come Fulci! Non se ne può più dell’orrore orientale, non se ne può più di registi del cavolo che si credono autori e tentano di “fare riflessioni” sul male insito nell’uomo ecc. … Tolto Kubrick (SANTO, SACRO, ADORATO), l’horror è una questione politica, sovversiva, rabbiosa, che non guarda in faccia a nessuno e non ha paura del sangue…
mah, come tutti i film di fulci ha una scena epocale (i ragni) e tutto il resto è noia e routine.
per me, il più sopravvalutato tra i rivalutati recentemente (come suona male ‘sta frase calembour!?!?!).
però la scena dello squalo vs. zombi in Zombi 2 è la cosa più meravigliosamente weirda mai vista in un film (brutto)
lonchaney
Bisogna però ammettere che adesso, con milioni di dollari di budget, si fanno film se possibile anche peggiori del cinema di genere anni settanta, ma senza nemmeno una scena davvero epocale… lungi da me ogni rivalutazione, ma sul semplice piano dell’intrattenimento “quel” cinema coglieva nel centro…