A dirty shame
di John Waters, 2004

L’ultimo film del regista definito "il Papa del trash" da William Borroughs, uno dei massimi esponenti della controcultura cinematografica degli anni ’70 (ma non solo), è uscito negli Stati Uniti più di un anno fa, riscontrando pareri negativi e/o freddi e/o scandalizzati da parte di critica e pubblico. E nonostante alcuni degli ultimi film di Waters abbiano trovato un qualche tipo di distribuzione in Italia (penso a Pecker, o a A morte Hollywood, opere forse trascurabili), non c’è ancora traccia di A dirty shame nei piani dei distributori italiani.

Non è difficile comprenderne la ragione: Waters con questo film ritorna al modo di fare cinema per cui è celebre. Non nella forma, che è lucidata dall’esperienza degli anni ’90 con cast e crew di primo livello, bensì nei temi e nei toni. A dirty shame parte, che parte dalle basi del Crash di Ballard e finisce come una lussuriosa invasione di ultra-corpi-desideranti, è volgare e faceto, con un doppio senso ogni due battute, è liberamente oltraggioso e oltremodo anale, è un film che si tiene sempre e solo sul registro più basso, quello delle pulsioni sessuali e delle pratiche erotiche.

Il risultato è una bella sarabanda erotofila, davvero senza freni: sta al senso del pubblico pudore di ciascuno se andare oltre alle mille provocazioni per vedere quel che c’è sotto. Perché se A dirty shame è semplicista e manicheista, in senso molto watersiano (il bigottismo provinciale di Baltimora sovvertito dalla libertà sessuale e dai "diversi"), non si può negare che – superato qualche shock e qualche risata molto grassa – sia uno spasso incredibile. Grazie a un cast divertito e divertente (il film sarebbe davvero impossibile da doppiare), a situazioni yeuch-pop e weirdo-surrealiste, ad accostamenti assurdi e incontrollati, ai geniali filmati d’archivio a simboleggiare lo status sessuale (à la Gerard Damiano).

Ma se potrebbe sembrare semplicemente come un giochino (mezzo) anarchico fine a se stesso oltre che svicolato da ogni sana struttura cinematografica (sempre detto che sia un male, è forse non lo è), questo è soprattutto un sogno, l’ultimo sogno di un sessantenne che sognava la rivoluzione sessuale e non l’ha mai vista realizzata. E così, portandosi dietro la solita manciata di canzonette della sua infanzia (quelle che sotto sotto parlano proprio sempre di peni e di vagine), Waters trasforma il film in un viaggio lisergico e onirico nella mente di un maniaco sessuale mai pacato, di un poeta della protesi che, per una volta, lascia da parte ogni "sporca vergogna" e guida il suo esercito di infoiati e ninfomani alla conquista del mondo.

E proprio come in tutti i film porno che si rispettino, il finale è proprio quello. Un’eiaculazione digitale, dritta dritta verso il cielo e poi giù fino a colpire, schiaffo spermatico!, i nostri occhi a schermo.

3 Thoughts on “

  1. Kekkoz, sei andato un po’ poco per il sottile: definire Pecker trascurabile è, a mio avviso, un po’ azzardato. Secondo me è uno dei film più riusciti di Waters, sebbene manchi di tutto quel fragore trashabondo, gayo e pervertito degli altri film. A dirty shame è casinaro, inutile e divertentissimo, e Tracey Ullmann una delle più favolose attrici comiche americane (ma ce l’aveva già dimostrato in passato).

    Augh. Ho detto.

    Rowena

  2. sembra interessante…non mi piace molto waters…ma lo proverò a vedere…

  3. Tutto ciò mi riporta allo scorso aprile, quando alla faccia di un febbrone da cavallo, volai a torino per l’anteprima di “A Dirty Shame” e cinque giorni di estasi al cospetto del Maestro. Perché idolatri si nasce e io lo nacqui, modestamente. :)

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