La mala ordina
di Fernando Di Leo, 1972
Dopo Milano calibro 9, un’altra storia di onore, di lealtà di tradimento e di vendetta. Il film non ha forse la grandezza del suo predecessore (uscito pochi mesi prima), ma la parabola del magnaccia dal cuore buono che compie un massacro di vendetta e autoconservazione convince appieno nel suo crescendo di violenza.
Magari è più rozzo e violento, meno raffinato e più diretto, ma forse lo scavo dei personaggi è persino più riuscito, perché concentra tutto sul protagonista, sul suo dolore e sulla sua rabbia di uomo tradito. Merito anche della grandissima intensità di uno splendido Mario Adorf: interprete troppo spesso dimenticato.
Magnetica la presenza di Henry Silva e Woody Stroode, soprattutto il primo (bella la scena in cui si fa assalire dalle prostitute). Ma, come mi era stato predetto, Adorf e un Adolfo Celi di rara cattiveria rubano la scena alle due "star" d’oltreoceano. Anche se non c’è Bacalov, ottima la colonna sonora di Trovajoli.
Lo stile di Di Leo è ancora personalissimo, come nella scena quasi sperimentale del pestaggio sulle note di "Un’ora sola ti vorrei". E folgorante: il lunghissimo inseguimento con un Adorf imbestialito sul cofano di una macchina che spacca il parabrezza a testate è un gioiello dell’azione all’italiana (e non solo).
Dr. Akagi (Kanzo Sensei)
di Shohei Imamura, 1998
Saggio di bonario antilimitarismo e energica satira storica antioccupazionista, con un occhio al presente del Giappone, il film di Imamura è forse più convincente quando è pacificamente surrealista che non negli scorci drammatici che si intravedono al di sotto dello stile grottesco e divertito. Riesce comunque a non annoiare per un attimo e a far riflettere, non è poco.
Principale punto di forza del film, molto più delle sterzate visionarie del discusso e bizzarro finale, è la scrittura delle interazioni fra gli abitanti del villaggio, mossa da un appassionato spirito corale, che trasmette l’immagine di un villaggio solidale ed eticamente coeso, anche se la tematica ricorrente è quella della dipendenza e dell’ossessione: il sesso, la droga, le balene.
E, nonostante la provocazione sia contenuta, e malgrado si scalfisca più che intaccare, i personaggi funzionano alla perfezione: come Sonoko, bellissimo personaggio di Kumiko Aso, o lo stesso protagonista Akagi (interpretato da Akira Emoto), che corre freneticamente per il villaggio da una visita all’altra e che costruisce una sua etica del lavoro all’interno di una contingenza impossibile.
Fuga da Alcatraz (Escape from Alcatraz)
di Don Siegel, 1979
Uno delle pietre portanti del genere carcerario, tra i più celebri del suo genere, e forse il più famoso del suo autore.
Secchissimo ma terribilmente efficace, a partire da una storia talmente vera da essere incredibile, scritto con intelligente consapevolezza dei cliché, e diretto in modo misuratissimo e rigoroso. Eastwood è al meglio delle sue forze (in)espressive, e Frank Morris è uno dei suoi personaggi più riusciti.
Nonostante io non ami particolarmente questo sottogenere, e lo ritenga un oggetto (solo un pochino) sopravvalutato, apprezzo quello che vedo, con oggettività: un gran film.
Ong-Bak
di Prachya Pinkaew, 2004
Cinema dal peso dell’aria, certo, e di un’ingenuità sconcertante. Ma non è detto sia per forza un male. La storia del giovane che ricerca la statua trafugata, come metafora di un conflitto tra le tradizioni buddhiste e una modernità individualista fino all’autoidolatria, è comunque un pretesto per le impressionanti esibizioni di Tony Jaa. Per di più, Pinkaew è capace persino di sopravvalutarsi, nonostante si vedano bene le sue radici video.
Ma Tony Jaa è una vera forza della natura, e ogni volta che si muove compie (veri) miracoli. Il masochismo del corpo scenico "alla Jackie Chan" arriva a vette forse mai raggiunte: impossibile non divertirsi, almeno nella seconda parte.
E comunque la si veda, l’inseguimento "ad ostacoli" tra i vicoli della città (con Perttary Wongkamlao a far da contraccolpo comico ai "voli" di Jaa) è uno spettacolo di puro divertimento, da vedere e rivedere, degno dei capolavori di questo genere.
Link: Cinebloggers connection
Santa Lucia, volume 5A hero never dies (Chan sam ying hung)
di Johnnie To, 1998
A hero never dies è un melodramma di pistole e sangue, una storia di riscatto e rivalsa, un affresco funebre di corpi impazienti e in cerca di pace, una riflessione action sui valori dell’onestà e dell’onore, e una (doppia) storia di sacrificio amoroso. E se l’azione è magistrale e millimetrica, con risvolti western (non solo nel cappello di Martin) e un finale nichilista e impressionante (con vetri che volano come fiocchi di neve), è forse il lato melodrammatico a colpire al cuore: impudico fino alla spudoratezza, struggente fino alle (nostre) lacrime.
La regia di To è più che perfetta, capace di miracoli di tensione (la sparatoria nella baracca è tra le più belle mai viste, per non dire dell’inseguimento nell’ospedale) e di momenti di grande malinconia elegiaca. E senza bisogno di troppe chiacchiere: basta uno sguardo, o un movimento di macchina (spesso elastico, con "andata" e "ritorno").
Splendidi tutti gli interpreti, con menzione d’onore a Ching Wan Lau (Martin) e Fiona Leung. La lunga sequenza dell’incontro tra i due nemici, con quella "sfida" (rompere un bicchiere lanciando una moneta) che è anche presagio del destino dei due, e con quella bottiglia-feticcio (grande trovata narrativa) è di una bellezza indicibile.
Qualcuno ha scritto che questo è il capolavoro di Johnnie To, qualcuno forse no. A soli tre film (dopo il bellissimo Trow down e il "minore" Heroic trio), non posso azzardare simili ipotesi. Ma è comunque un capolavoro.
La tomba di Ligeia (The tomb of Ligeia)
di Roger Corman, 1965
L’ultimo degli adattamenti cormaniani dai racconti di Poe è un bellissimo piccolo film, che sa trattare la materia dell’angoscia e dell’ossessione con mezzi spartani, sa stupire (come l’efficacissimo incipit), anche osando a tratti (la scena onirica). Davvero adorabile, a patto di ignorare del tutto le derivazioni (stilistiche e drammaturgiche) dall’opera di Bava. Tanto per fare un esempio da ignorante, La frusta e il corpo.
Di grande fascino le interpretazioni, e geniale la scelta hitchcockiana del doppio ruolo affidato a Elizabeth Shepherd. Che comunque nulla può contro l’immensa statura di Vincent Price.
OT: brevi notazioni
Tra le voci di quelli che (con troppa veemenza) invocano un silenzio rispettoso e gli scoppi e i botti di quelli che (con troppa idiozia) vogliono che il mondo vada a farsi fottere, in Piazza del Popolo a Roma vedo della gente che svolazza sopra la mia testa.
Due libri di J.T.Leroy. L’uno avventura picaresca e surreale, traumatica e appassionante. L’altro dolorosissimo e crudele romanzo di formazione in un mondo dominato dall’ipocrisia sociale e religiosa. Sono profondamente ammirato, e un po’ scosso (e anche curioso).
E ho scoperto che esiste un cartone animato che si chiama Spongebob. Amore a prima vista.