
Il gusto dell’anguria (The wayward cloud) (Tian bian yi duo yun)
di Tsai Ming-liang, 2005
I due personaggi di Che ora è laggiù si incontrano di nuovo, per caso ("non vendi più orologi?" è l’unica linea di dialogo tra i due), in una Taipei deserta e apocalittica, seccata dalla siccità, dove ognuno campa come può, chi rubando bottiglie e angurie, chi facendo film porno in uno squallido appartamento. Lo schema compositivo è quello di The hole: la grigia e immobile realtà, caratterizzata dai ritmi dilatati e dai piani fissi per cui Tsai è noto, è spezzata da numeri musical coloratissimi e qui davvero assurdi, che riflettono i sentimenti del personaggi, inesprimibili per definizione. A far da tramite, un frutto che diviene simbolo ora di sensualità, ora di fertilità.
E’ davvero bellissimo The wayward cloud. E’ ancora un film sulla solitudine e sull’incomunicabilità, ed è ancora una conferma di un talento compositivo impressionante, capace come pochi di lavorare – come si dice spesso – sui "corpi nello spazio", e di costruire inquadrature che, pur rimanendo immobili, si sviluppano in profondità (sui lati lunghi del parallelepipedo, siamo portati a pensare). A ciò si aggiunge una non inedita ma qui esplicitata voglia di giocare con il proprio cinema, ironicamente e autoironicamente, abbandonandosi spesso a un "divertimento" – tra virgolette – che esce persino dai confini di quegli irresistibili sogni-musicarello ("il tappo è rimasto nella giapponese").
Qui si pone il problema: lo Tsai dell’interminabile inquadratura muta dell’incontro sull’altalena o lo Tsai che canta quest’amore ritrovato con quattro ballerine e fiorelloni colorati alti due metri? Lo Tsai della scena di sesso negato tra gli scaffali del videoclub o lo Tsai del balletto – splendido – con imbuti, sturacessi e un glande per cappello? La risposta dei distributori (italiani?) è: solo il secondo, visto che il trailer non mostra altro che balletti e amenità, ingannando gli spettatori che, se impreparati, rimarranno delusi. La mia risposta è: perché non entrambi? La musica (e il musical, nella migliore tradizione della fantasmagoria) in The wayward cloud è una sublimazione malinconica, e al di là del colore e dell’allegria (anche scemotta, come il numero musicale sull’appuntamento mancato) non cancella né concilia ciò che nella realtà accade, tra gli individui.
Comunque, quando si tratta di far le cose sul serio, Tsai non guarda in faccia nessuno, e così The wayward cloud è anche caratterizzato dalla componente quasi pornografica di cui tutti parlarono dopo Berlino, che impressiona per quanto si spinge oltre, e che i protagonisti hanno affrontato con ammirevole coraggio. Tsai ha il talento di tenerla in un equilibrio stabilissimo tra squallore, romanticismo e attesa, difficilmente raggiungibile. Peccato che verso la fine il "ritmo" si spezzi con una lunghissima sequenza, coraggiosa ma insostenibilmente prolungata, ma ciò non diminuisce il fascino di un film che, non lo nascond(iam)o, mi/ci è piaciuto da impazzire.
Ma il finale è di quelli che non si dimenticano, perché proprio al sesso, all’organo sessuale, allo sperma, è affidato il compito di riunire due solitidini, capaci fino ad allora solo di guardarsi e di desiderarsi da una parte all’altra di un muro. Come da una parte all’altra del mondo, d’altronde, o di un buco nel pavimento.
Più grevemente: l’incipit fruttofilo è immediatamente da antologia del cinema erotico.