The red shoes (Bunhongsin)
di Kim Yong-gyun, 2005

Il secondo film coreano uscito in Italia nel 2006, non solo non è all’altezza del primo, ma i coreanofili (o coreafili?) dovrebbero fare finta di niente, oppure negare che questo film sia mai uscito. E’ la solita sfiga che accompagna i trend, sempre se accettiamo l’idea discutibile per cui quello del cinema coreano si sta trasformando davvero in fenomeno ultra-visibile. E la sfiga è che non c’è più filtro, passa tutto, e molte cose passano così, con il random.

E’ il caso di The red shoes, brutto, bruttissimo horror, scritto con una mano sola – in evidente stato confusionale – dal regista stesso a partire da una storia di Andersen, ma per cortesia, e prodotto con un occhio solo, rivolto ovviamente ad un pubblico rassegnato. Quasi un’istigazione alle lamentele di fine proiezione del pubblico stesso. Perché non solo Kim si limita a ribadire quanto già detto millenni fa dai colleghi giapponesi, resiscitando l’ormai morto-e-sepolto (se mai è esistito, ovviamente) new japanese horror – come se il pubblico coreano non avessere mai visto roba arcinota come The ring o Ju-on – ma il suo film si rivela anche dal punto dell’intrattenimento un pacco colossale, capace di addormentarti proprio dove vorrebbe colpirti.

Se Kim Ji-woon con (A Tale of) Two sisters, nonostante le molte (altrui) detrazioni critiche, era riuscito a dimostrare molta personalità rimodellando certi stilemi dell’horror nipponico intorno alle tendenze melodrammatiche del cinema coreano trasformandolo in qualcosa d’altro, Kim Yong-gyun costruisce solo un florilegio di ascensori e corridoi, neon rotti e sopresoni, capelli neri e donne che strisciano sul soffitto. Oltretutto, sbagliando tutti gli attori. E senza nemmeno la possibilità della scusante "teorica" (vedi The Call di Miike), ma come se il tempo non fosse passato e ci fosse ancora un’onda da cavalcare: son cose che fanno male al cinema.

Peccato per la confezione invidiabile, e una manciata di scene (non poche, a dir la verità: a Cesare quel ch’è di Cesare) che altrove avremmo apprezzato di più: la grandinata di sangue sul tetto, l’ipermestruo della bambina, un paio di flashback. Noiosissimo il prefinale, interminabile come da tradizione, e orribile il finale, circolare come da tradizione.

12 Thoughts on “

  1. Vedo che è piaciuto anche a te…

  2. Ci vado stasera, tiè.

  3. ‘zzi tuoi.

    homo avvisatus, medio salvatus.

  4. già Sword in the moon era un pacco, tanto quanto Two Sisters (tutti e due brutte copie pretenziose di cose già pretenziose e noiose)…passa tutto, ma non tanto per fortuna…ancora…questo the red shoes lo sto scaricando per rendermi conto…comunque

  5. il wuxiapian sarebbe pretenzioso e noioso? per cortesia, su.

    su two sisters la penso come la penso, e l’ho detto più volte. è la mia opinione, bona. bellissimo.

    “per fortuna”, un corno: io spero invece che arrivi in italia tanto tanto BUON cinema coreano, buono (o ottimo, perdio! dove sono memories of murder e my sassy girl?) come quello che si può trovare con un po’ di impegno ma in fondo senza tanto sbattimento.

  6. io ho preferito i tanto bistrattati wuxia di Zhang…e gli horror giapponesi mi hanno fatto sempre addormentare (a parte the eye, ma non è giapponese è coreano, no? Miike è assolutamente a parte, un visionario, un Lynch arrabbiatissimo…)…zero paura e zero tensione…ho sempre preferito i remake americani…pure quelli rifatti dagli stessi registi degli originali! pensa un po’!

    Sword in the moon rimane una cosa ridicola, comunque…se penso al finale, poi!

  7. i wuxia di zhang fanno capitolo a sè nel bene e nel male, sono d’accordo che almeno “la foresta dei pugnali volanti” (“Hero” forse no) sia meglio di “sword in the moon”, ma io parlavo del wuxia in generale, vabbè.

    “the eye” non è coeano (!) è hongkonghese (meticcio thai) e francamente non lo apprezzo più di tanto (l’ho detto diverse volte). paura? vabbè sì ma… mah. comunque lo si tira sempre in ballo: sarà il “the”?

    l’associazione tra il miike di the call e david lynch mi fa sorridere.

    sui remake ‘mmericani, ne ho visti solo due (il primo ring e dark water, decisamente ben fatti) e ho evitato gli altri perché LI SO essere orrendi da OGNI fonte conosciuta, ma non ho comunque argomentazioni in merito.

    infine, ti dirò, il finale di sword in the moon non me lo ricordo nemmeno. ma spessso capita che il “senso del ridicolo” al cinema sia un’attribuzione culturale (ciò che fa piangere un coreano fa ridere te) oppure soggettiva (ciò che fa piangere altri fa ridere te).

  8. utente anonimo on 25 gennaio 2006 at 12:24 said:

    Attendo recensione di ‘Brokeback Mountain’ con molta curiosità…

    Flavio

  9. eh, non l’ho ancora visto. forse oggi pomeriggio…

  10. altre due cose che ho dimenticato di dire su red shoes.

    1. dark water. al di là dell’assunto narrativo molto simile, ci sono 10 minuti di film che SONO dark water. e che cacchio.

    2. le scarpe sono rosa.

  11. Ieri sera non ci sono andato, era chiuso. Ci vado stasera, tiè. O domani sera, tiè.

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