Le tre sepolture (The three burials of Melquiades Estrada)
di Tommy Lee Jones, 2005
Se non ci avessero avvertito mesi fa sarebbe stata una gran sorpresa, tanto gradita quanto imprevista. Perché un attore che si mette dietro la macchina da presa è a volte una scommessa persa a metà, nonostante gli illustri e recenti precedenti. E invece Tommy Lee Jones, attore arcinoto e pluripremiato, esordisce alla regia cinematografica con un film che si rivela bellissimo quasi da subito e quasi senza incertezze.
Si sente che il film è scritto dall’inarrituiano Guillermo Arriaga, soprattutto nella primissima parte dove la fabula e l’intreccio si mescolano talentuosamente, confondendo lo spettatore per qualche minuto grazie ad un annullamento spaziotemporale che ben si sposa con i paesaggi texani dipinti dal sempre eccellente Chris Menges, un maestro nel combinare ipersaturazioni e contrasti di colore (soprattutto negli interni). Ma sorprendentemente il film sale proprio dopo il primo capitolo (o sepoltura, fate voi), quando si fa più lineare ed emotivo, abbracciando il viaggio di un uomo vecchio che ha fatto una promessa e che si scopre solo, e del suo prigioniero che ha fatto uno sbaglio e si scopre umano. Ma anche il cammino immobile delle due donne che li aspettano, e che poi non li aspettano più.
Senza abbellimenti e fighetterie, nonostante la bellezza "paesaggistica", ma anche senza machismi o scatti di violenza: piuttosto con profondo senso della perdita, e della solitudine. Un film che fonde modernità e classicismo con scioltezza evidente e una maturità mai forzata. Ma anche con un senso dell’humor caustico e a volte davvero color pece, che permette una collezione di scene – soprattutto nella parte centrale – da antologia del macabro.
Ma Jones di certo non scherza, anzi, fa le cose sul serio: e che finale, quello che ci regala. Dopotutto, ci avevano avvertito.
Nota: in italiano i moltissimi dialoghi in spagnolo (sottotitolati nella versione originale) sono sostituiti in parecchie parti da un italospagnolo di dubbia credibilità. Chissà per quale motivo, ma sarà un motivo del cazzo.
Ma come?
Nessun riferimento allo zio Sam che un po’ tutti (tranne me e te) hanno visto tessere la tela di questo silenzioso capolavoro?
Lo vedi che non capiamo niente di cinema!!
Fringe
Ecco. Per l’appunto. Il profondo senso di perdita.
Pike
vabbe’ pike ma cosi’ e’ una somiglianza un po’ generica.
sì sì, era venuto l’indirizzo, fringe.
e su, non stiamo a discutere su queste sottigliezze. ^^
(mi sembra comunque una deferenza inutile, altrimenti cos’è, dobbiamo dire che quando melquiades appare per la prima volta è una citazione di nonno John?)
di tommy lee jones avevo visto in tv,qualche anno fa,mi pare su videomusic (al tempo tmc2) un filmetto western di poco conto,the good old boys che vedeva matt damon tra i protagonisti.Quest’aultimo mi incuriosisce.Forse è migliorato.
era il suo primo film, che però era una produzione televisiva.
non l’ho visto, ma sì, credo proprio che sia migliorato.
kekkoz: condivido ogni sillaba e l’ho blog-recensito anch’io, occhio, però. ti farò soffrire di nuovo, come ti ho fatto soffrire con malick: ho approfittato di tommy lee jones per massacrare, in parallelo, “montagna culorotto”…
@30: beh no, soffrire no, dai. certo che sei crudele… però di concetto hai ragione: il confronto non regge.
L’ho visto ieri con Daesù e una crociata di nonni ultrasettantenni in gita scolastica. Rumorosissimi.
Molto bello si, abbastanza noioso in alcuni punti. Qualche passeggiata a cavallo in meno credo non avrebbe rovinato il tutto.
Cmq la faccia di T.L.J. versione Eastwood vale tutto il film:)
noioso? cazzarola, astoruccio!
viva il rumore di dentiere. meglio delle patatine, di sicuro.
sbaglio o in questo film il classico e senza fronzoli jones spazza via il postmoderno e inutilmente contorto Arriaga dopo un primo capitolo di furibondo duello tra regia e sceneggiatura?
All’inizio l’andirivieni temporale mi lasciava perplesso, poi la componente virtuosisica sparisce nel nulla, lasciando posto ad un racconto lento e diretto che grazie al cielo non ha nulla in comune con 21 grammi e menate simili.
Nobile.
P:S.: secondo me a parte il viaggio con il cadavere, non c’è poi molto di Peckinpah, semmai è evocato Monte Hellman, con i suoi stalli esistenziali e le sue epopee sul filo dell’assurdo…
lonchaney
@lon: non sbagli, l’ho scritto anch’io, o almeno l’ho inteso, nel post.
senza nulla togliere alla bella prima parte, l’intento della “seconda” è chiarissimo. e esperimento riuscito.
d’accordo con il tuo post, infatti, caro kekkoz, però bastonerei un po’ di più i giochini di montaggio della prima parte, più per il rischio di inarrituismi che per reale demerito del film.
(a volte è meglio non sapere nulla di chi sta dietro un film prima di vederlo, i pregiudizi uccidono…)
lonchaney
ottimo davvero questo film.
Nella vesrione in lingua originsale che ho visto io, manco i sottotitoli durante i dialoghi in spagnolo c’erano…una fatica! Ma comunque non è certo un film di grandi dialoghi…no?
beh diciamo che non sono “in primo piano”, però è una questione di senso.
insomma, se quello è spagnolo io sono Francisco Franco. io lo spagnolo non lo capisco, quella roba lì sì. perché i messicani in messico dovrebbero parlare quel mischiotto orrendo di lingue buono giusto per la parodia di uno spagnolo? solo per farsi capire perfettamente dai texani, cioè da noi?
tutto qui, è solo una menata di principio, polemica sterile.
grandissimo questo film. essenziale e asciutto come molti film di Eastwood (tra l’altro mi pare che Tommy Lee Jones abbia pubblicamente detto che molto deve a Clint).
sui dialoghi “spagnoleggianti” italiani anch’io ho qualche fumoso dubbio…
ma ormai siamo abituati a questo e altro – molto peggio – dai doppiaggi nostrani -_-”
Finalmente anch’io ho presenziato ai tre funerali del signor Estrada. Gran bella cerimonia, aspra e toccante. E dimostrazione, sullo sfondo, di quanto Inarritu sia un cattivo regista o quasi.