Il caimano
di Nanni Moretti, 2006
Avvertimento: se Il caimano parla – ma davvero? – dell’impossibilità di fare un film su Berlusconi, allora questo post parla dell’impossibilità di fare un post su Il Caimano.
Perché dopo una settimana di tale invasione mediatica (che solitamente sarebbe ben accetta, ma non quando si mescolano stupidamente terreni incompatibili), è difficile dire qualcosa di nuovo o qualcosa di sensato toccando territori che non siano già stati arati in abbondanza. A volte da penne più capaci, a volte inette e non richieste. Perché esce Il caimano e diventano tutti critici cinematografici, e tra di loro – come sempre – sono molti a giudicare il film senza vederlo. Si spendono tutte queste parole, e a uno che arriva a scriverne una settimana dopo che ne hanno scritto tutto gli altri, cosa resta se non prendere una posizione? Niente. E possibilmente, chiara.
Ebbene, solo questo mi rimane da fare, aggiungermi al coro (un coretto, a dirla tutta) di quelli che hanno amato Il Caimano. Quelli che l’hanno trovato una summa irresistibilmente bizzarra e straordinariamente irrisolta delle tre anime (il privato, il pubblico, il cinema) del suo cinema, soprattutto dell’ultimo suo cinema. Quelli che l’hanno trovato un film forse di transizione – o di passaggio – ma quasi miracoloso nel suo equilibrio, ma quasi sperimentale nel suo squilibrio. Quelli che hanno riso come matti e poi si sono spaventati come matti. Quelli che hanno pensato che Damien Rice non è Brian Eno*, ma che va bene lo stesso. Quelli che hanno trovato piacevole sia la morettianità di certi passaggi (soprattutto della sceneggiatura) sia il distacco di una regia che incespica un po’ (forse è vero che in mezzo a tutto questo cinema manca un po’ il cinema), ma che porta avanti il film con le unghie. Graffiando e mordendo.
Piaccia o no, Il caimano è un film che non si dimentica, che richiede un occhio attento e avulso dai preconcetti. E’ un film fondamentalmente intimista, perché parla di un personaggio, e insieme un film profondamente politico perché parla della nostra società. Non della decadenza dei valori nell’era berlusconiana, come si legge sovente, ma di un posto-nel-mondo squallido contro cui la bontà e la semplicità di certe immagini e frasi, metafore cristalline, è forse l’unico antidoto. O forse, o forse anche, l’antidoto è riscoprire quella stessa valenza politica del cinema (nel cinema), in modo da contrastare con il proprio sguardo il dilagante e tristo opportunismo in cui annegano gli ideali. Gli ideali non sono mai passeggiate.
Ma in fondo Il caimano è la storia di un piccolo uomo, e non dimentichiamoci degli aspetti che tutti tralasciano, del film di Moretti. Un film di una complessità progettuale e scenica quasi imbarazzante. Un film interpretato splendidamente (la scena nel campo di calcetto: ve la sognavate più una Buy così?). Un film italiano che sa far riflettere e scioccare, ridere, vergognarsi, disperare. Un film con un finale – e non solo – terrificante, intenso, unico. Un film bellissimo.
[e il tutto girerà pure intorno all'uomo-rettile e alle sue quattro facce, ma brilla di luce propria, e assolutamente a prescindere da lui. Per fortuna]
*nota: a me Damien Rice piace molto. Ma non è Brian Eno.