Quando l’amore brucia l’anima (Walk the line)
di James Mangold, 2005

Bastano pochissime battute di Walk the line, le prime ma anche qualsiasi altre, per capire cosa ci si possa trovare tutto intorno: perché il film è disseminato praticamente in ogni singola sequenza di ogni abusatissima locuzione filmica che si conosca (chiamiamole pure "luoghi comuni"). Se la convenzionalità può o addirittura deve essere l’unica cifra stilistica per potere raccontare la vita (o un pezzo della vita) di Johnny Cash, allora possiamo tranquillamente fare finta che il film non sia – come in effetti è – scorrevole e sommariamente piacevole. Al contrario, possiamo imbestialirci, di brutto.

Non accetto un film come Walk the line, non perché trasformi – come in effetti fa – una biografia straordinaria in una soap vetusta e ammuffita. Non perché sprechi – come in effetti fa – le potenzialità offerte dalla forma-musical con una regia incapace di giocare emotivamente persino sulle reazioni più basilari, piatta e inerte, non inetta ma inutile (roba da pomeriggio di canale5). Non perché infine io sia ormai – come in effetti sono – un uomo senza più un cuore. Non lo accetto perché le canzoni di Cash riescono da sole a schiacciare i dialoghi, così come è la vita di Cash a massacrare la sceneggiatura. Si vede a occhio nudo che quel che c’è di buono nel film è, bene o male, Cash stesso, e poco altro.

Poi. Non ci si decide mai se si vuol fare un biopic o una love story. Mangold cerca di farle entrambe, un colpo al cerchio e uno alla botte, mezz’ora di turno a testa per contentare sia i fan duri e puri che chi non sa chi diavolo fosse quest’uomo vestito di nero con il vocione. Quindi i dettagli più biografici risultano a volte ridondanti e a volte insufficienti, così come gli schemi tipici della storia d’amore complessata (lui ha la scimmia, lei lo salva, lui guarisce, aspetta, aspetta, no, aspetta, ecco, amiàmose) risultano talmente ritriti da apparire risibili, quando la loro realtà avrebbe potuto davvero far esplodere lo schermo. Il risultato, il film insomma, è a dir poco sconsolante.

Però, ecco, c’è Cash. And it burns, burns, burns, the ring of fire, fa sempre piacere. Oppure, magari, ecco, c’è Phoenix, che dà tutto se stesso in una prova da brividi (senza contare una certa identificazione attore/personaggio, vista la rilevanza data al fratello morto di Cash). E’ sempre stato bravo, Joaquin, ma forse mai così bravo. Altro che Reese Whiterspoon: questa tizia da niente fa tutto sommato niente più che il suo pulitissimo porco lavoro, e si porta a casa lambitastatuettammericana. Oh, contenta lei, contenti tutti.

23 Thoughts on “

  1. già…che vergogna di film…un’occasione sprecata…concordo in tutto…e due…

  2. A me non è dispiaciuto, forse perché – e non è un bene – ho un pregiudizio sfavorevole verso il cinema USA contemporaneo. Diciamo che non m’aspettavo assolutamente niente di meglio: per essere un film americano va bene così.

  3. Walk the line è l’esatto contrario di Crash: il primo è un brutto film recitato da dio, il secondo un bel film recitato da cani.

    mi riferisco, ovviamente, alle versioni originali.

    D’accordo su tutto, ma la mia reese non è una tizia da niente, vedere Freeway per credere.

  4. Escualotis ha ragione, e tu stavolta hai capito proprio poco, caro Kekkoz: ci sono degli ottimi motivi se un film viene girato in maniera tanto piana e convenzionale.

    (Violetta)

  5. …un motivo su tutti? se uno è un pessimo regista…crash è un brutto film, recitato pure male…altra occasione persa…

  6. “questa tizia da niente fa tutto sommato niente più che il suo pulitissimo porco lavoro, e si porta a casa lambitastatuettammericana. Oh, contenta lei, contenti tutti. ”

    GRANDE !

  7. Oddio, io il film intero non l’ho visto, ma dagli spezzoni (specialmente quelli canori) mi sembra che la Witherspoon non sia proprio una sòla.

  8. @escuolatis: a me invece il cinema USA contemporaneo sa anchepiacere molto, ma a questo preferisco mille volte – per dirne due recenti che annullano ogni pregiudizio possibile – un tommi ligiòns o un terensmalik.

    @antonella: il tuo confronto non fa una piega, anche se non sono proprio d’accordo – perché più ripenso a crash più penso che sono stato troppo gentile nel post di allora.

    comunque anch’io di entrambi ho visto le versioni originali (quando sento che non posso prescinderne, eh, preferisco dotarmene)

    @violetta: sì, probabilmente ci saranno anche, ma li sentirei come scusanti.

    @antonella, alpoisson, jecke: volevo solo provocare, in realtà la reesuccia non mi dispiace poi così tanto (esteticamente proprio per nulla, poi) solo che la sua performance non è roba da standing ovation.

    fa il suo porco lavoro, appunto.

  9. Devo ammettere che mi è scappato un “bel film” invece che una “discreta idea” solo perché L.A. is my lady (cit.) e mi mancano da morire gli amici di laggiù. Da vecchi si diventa sentimentali.

    Bisogna dire, però, che con dialoghi degni di un telefilm di Hallmark, è normale che sfiguri pure Matt Dillon, uno dei pochi che dovrebbe accendere un cero al doppiatore italiano.

    Tornando a Johnny Cash, la facciadiculo di aver cantato “25 minutes to go” ai carcerati, beccandosi pure l’applauso, merita senz’altro un Joaquim Phoenix in stato di grazia e il dialetto della Whiterspoon in grande spolvero, se non altro a parziale rimborso dei “cheppalle, non lo reggo!” di rito appena qualcuno, ai bei tempi, metteva un suo disco in mia presenza.

    Da vecchi si diventa anche poco obiettivi.

  10. Tu non sei un uomo senza più cuore. Anzi, ne hai ancora un bel po’. Perchè io ho pensato le stesse cose ma non ho avuto cuore di scrivere più di quel che ho scritto .

  11. utente anonimo on 14 marzo 2006 at 14:45 said:

    ci si dica quali sono questi motivi! per pietà

  12. la Whiterspoon farà anche il suo porco lavoro, ma questo vuol dire che la maggior parte delle attrici di Hollywood non lo sa fare :-). Per me si distingue abbastanza dalla massa, diamogli tempo…

  13. Anonimo, dicevi a me ?

  14. mi sono mangiato la firma, ero io l’antipatico anonimo di cui sotto.

    quindi, sì, mi riferivo a quello che hai detto a kekkoz.

    In questo film quali sono secondo te i motivi perché fosse girato in maniera tanto piana e convenzionale, anzi quali sono quelli che ti fanno dire che non è una semplice banalità che si regge su uno scheletro povero e sulle consuete scelte strutturali da miniserie.

    solo perché ho capito proprio poco.

    LG

  15. Garella vs. Bellocchio.

    altro che pres. contro prof.

  16. Rischio di dilungarmi, quindi chiedo scusa in anticipo al padrone di casa.

    Mi sembra che nessuno qui (sia chiaro, non è una colpa) abbia tenuto in considerazione la straripante religiosità che tale e tanta parte giocò nelle vicende personali/professionali di Cash.

    La convenzionalità dell’impianto (che infatti, caro Luca, non nego) è talmente insistita da essere una scelta molto precisa, riconducibile proprio all’idea di un “percorso di fede”: prima brandita contro ogni evidenza (famiglia problematica, povertà, tragedie), poi esaltata (la musica gospel e devozionale), poi messa in crisi (stile di vita rocchenroll, tentazioni adulterine), poi sradicata (tossicodipendenza, perdita di senso) e poi – tadàn – recuperata più forte e più gagliarda che prima, con il nuovo matrimonio e la decisione di esibirsi al penitenziario di Folsom.

    Non a caso la battuta con cui Cash liquida chi non vorrebbe farlo suonare davanti ad assassini e stupratori suona più o meno come: “se il mio pubblico di cristiani volta le spalle a quella gente, allora non sono dei veri cristiani”. E non a caso il percorso parallelo di June Carter è molto più duttile e ricco.

    Anch’io (da non cristiana quale sono) avrei preferito un biopic meno convenzionale, ma in quest’ottica il Cammino del Pellegrino ci sta tutto.

    Violetta “adoro Johnny Cash anche se non voglio bene alla Vergine Maria” Bellocchio

  17. La religiosità di Cash (straripante ancor più dopo il ’70) al pari dell’impegno sociale (piuttosto forte in questa fase iniziale della carriera) non sono stati chiamati in causa perché la loro presenza nel film è risibile e risicata, i canti devozionali e lo studio della bibbia del fratello nell’infanzia sono poco più che correlati della definizione dell’epoca/luogo: è il legame con una tradizione che JC innoverà profondamente (anche questo relegato alla sola battuta “possiamo anche suonarla più veloce” o simili detta a June).La struttura inevitabilmente teleologica (e quindi moralistica?) del fashback (e quindi del biopic?) che subisce le connotazioni della sequenza d’apertura (il corvo, JC silenzioso e distante, etc) giustifica in qualche modo la presunta scelta di convenzionalità: presentati subito i tratti definitori poi si tirano i remi nella barchetta della narrazione. Il cammino del pellegrino -se proprio vuoi dare un riferimento cristiano che però ha ben poche prove interne al film, se ne ha – è un modo per sostenere una presunta metafora profetica/messianica per dare un senso a quella che a me pare null’altro che la realizzazione del canone del biopic così com’e’ storicamente, nudo e crudo qui al punto che la rarefazione dei tratti caratterizzanti è tale da non caratterizzare affatto, al punto di fare del protagonista (che ha senso solo storicamente e al-di-fuori della diegesi come individuo degno di essere biopicizzato) una macchietta di sè stesso (come nella spiegazione del perché si vestisse sempre di nero, per dire).

    La tua prospettiva – a mio modo di vedere – avrebbe sostanza per reggersi se ci fossero filmic cues a reggerla che mi pare non ci siano. Allora si potrebbe anche dire dell’impossibilità di incidere sull’Icona che fa da scudo all’uomo, ma anche qui la lettura sarebbe, quanto meno, al secondo grado. O ancora altro, volendo.

    Una scelta consapevole di convenzionalità circa l’impianto (o di semplicità, al limite, volendo) dovrebbe essere individuabile come funzione nell’impianto stesso, altrimenti di ogni polisemia facciamo ricchezza e regressione all’infinito.

    sono andato lungo, pardòn.

    Luigi

  18. You say to-mà-to, I say tò-ma-to.

    Potremmo andare avanti all’infinito a confutarci, lo sai, vero ?

    (Violetta)

  19. mi dicono che ci sono cose più divertenti da fare, ma anche no.

    C’e’ comunque una gran differenza tra la reciproca confutazione ad lib.e l’asserzione che tu stavolta hai capito proprio poco, lo sai, vero?

    Luigi

  20. Ci sono anche conversazioni private, pregresse e ridancianamente irresponsabili tra me e il titolare di questo blog, come quella a cui si riferiva quell’inciso.

    Ma tanto chi si ne frega: è mooooolto più importante gettare il guanto della disfida intellettuale a quelli con un’opinione diversa.

    (in fondo è tutta colpa mia: siamo *già* arrivati alla fase in cui rendere conto di ogni accenno di sillaba è un atto dovuto alla Massa, e non me ne ero accorta)

  21. utente anonimo on 16 marzo 2006 at 11:46 said:

    La presenza o meno di conversazioni private non viene minimamente suggerita, se dici adesso questa cosa non se ne capisce il motivo, non sarebbe stato più facile disinnescare questa “disfida” tre risposte fa con la semplice notazione che si trattava tutto di un gioco tra te e kekkoz?

    Di fatto, comunque, non mi riguarda la presenza delle suddette, hai accettato di parlare e spiegare e adesso vieni a dirmi questa cosa del “rendere conto”? Se abbiamo avuto questo scambio di opinioni lì sul blog è perché evidentemente pare ad entrambi un luogo relativamente confortevole. Se alla Massa, che magari ha la stessa opinione del padrone di casa, non è dato di controbattere in un “luogo” aperto e tranquillo come questo che conclusione se ne deve trarre?

    Ho sbagliato registro, forse, ma quello che ne è seguito, fin qui, è ridicolo.

    L.

  22. Che pena, che pena.

    Il giorno in cui i blogger smetteranno di attaccarsi alle singole paroline mal poste (manco un ufficio stampa è così sistematico) sarà forse il giorno in cui potranno godere di credibilità.

    Fino ad allora, si resta nel regno delle pippe transatlantiche.

  23. utente anonimo on 9 ottobre 2009 at 13:00 said:

    Mi dispiace, ma stavolta non sono minimamente d’accordo con te, Kekkoz. Ho recuperato questo film solo ora. Il mito della più grande voce country mai esistita vive in questo film come non mai, il biopic musicale e la love story si intrecciano alla perfezione. Reese Witherspoon è bravissima e bellissima. Phoenix è davvero da spezzare il cuore.

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