The president’s last bang (Geuddae geusaramdeul)
di Im Sang-soo, 2005
Decisamente trascurato negli ultimi mesi, il (buon) cinema coreano ritorna per un momento tra le priorità del sottoscritto, incuriosito dai post di due persone affidabili (qui e qui: io non dico nulla che non abbiano già detto loro) e da una trama più che invitante. Ma qualunque cosa mi fossi preparato a vedere, il quarto film del regista di La moglie dell’avvocato è completamente diverso. E tra l’altro è bellissimo.
Certo, si fa un po’ fatica ad entrare nello “spirito” del film, insieme grottesco e drammatico, perché la prima parte è più che ardua. Ma non per le faccende storico-politiche, comunque di difficile comprensione per un pubblico impreparato sulla storia recente della Corea del Sud, bensì per l’assoluta libertà compositiva scelta da Im, che decide di ritrarre i suoi personaggi con piccole pennellate, sguardi, gesti, brevi frasi. La sensazione è di confusione e insieme di ottundimento, ma il risultato è che si crea un racconto corale sotto gli occhi dello spettatore senza che lo spettatore se ne accorga.
Poi, ovvio che c’è la scena madre. Perché Geuddae racconta una storia che gira intorno ad un fatto, e quindi è normale (e sano) che il film giri intorno ad una scena. Peraltro, tutta la “nottata” è una sequenza di grandissima forza, girata splendidamente (come tutto il resto del film: grande la confezione di Kim Woo-hyeong, nonostante sia il fotografo di Jang Sun-woo) e con accorgimenti tipici appunto del cinema corale – anche se di solito sono accorgimenti da climax finale, e non da metà film – come l’illusione di contemporaneità (aiutata dall’audio: ci sarebbero pagine e pagine da scrivere su una cosa così), e che termina con una tattica di “svelamento” (le stanze – in pratica il set – viste dall’alto) assolutamente geniale.
Ma vengono i nervi, a raccontarlo, The president’s last bang. Perché sembra solo un oggetto strano, come tante altre cose uscite dalle fucine di Seoul e dintorni. Che ci sia solo della gente che si spara e sanguina per 10 minuti, e intorno la noia. Invece no, c’è qualcosa, c’è molto di più. E c’è anche un finale mortifero e dimesso, lentissimo e straziante, che – a precindere da (o forse grazie a) un briciolo di squilibrio – toglie il fiato.
Mi dispiace solo, e non sono il solo, di non essermi potuto emozionare come avrei voluto. Ma c’è sempre una seconda occasione.
Bene, bene. Che dire? Felice che a volte anche i miei post conrtibuiscano ad invogliare!
E bel film davvero.
ero riuscito tempo fa a vedere La moglie dell’avvocato, trovandolo bellissimo. La tua recensione incuriosisce davvero, anche perché questo sembra molto diverso per temi e per stile dall’altro… ma dubito fortemente che lo vedrò mai in cartellone in qualche cinema qui intorno -_-”
E’ bello lanciare tendenze.
lo cercherò e spero di vederlo al più presto.
Ciaoo Rob
io mi sono decisamente emozionato invece (soprattutto nella scena principale, si).
ma forse erano le condizioni ambientali, notte di novembre inoltrata in viaggio dalla calabria alla liguria in una cuccetta trenitalia col riscaldamento rotto, illuminata solo dalla luce del mio portatile.
ha aggiunto un tocco di atmosfera ed inquietudine.
non ci facciamo mancare niente.
Vorrei tanto anche io avere un portatile per vedere i film in treno…