aprile 2006

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[FEFF8]
M.A.I.D.,
Yongyoot THONGKONGTOON, 2004,
spy comedy, European Premiere

Il regista di The iron ladies continua il suo percorso fatto di film del peso dell’aria: dopo aver saccheggiato la sport comedy con i suoi due fortunatissimi film sui pallavolisti transgender, Thongkongtoon si rivolge all’action comedy, sfornando un film che parte maluccio – con imbarazzanti gag da cartoon – ma che migliora procedento e che comunque si fa guardare per tutta la sua durata senza eccessivi traumi nervosi. Anche se si perde tutta la comicità verbale – doppi sensi e giochi di parole intraducibili nei sottotitoli – mentre passa alla perfezione il buon ritmo e le intepretazioni del cast, non si può negare che sia sommariamente divertente. Già pronto in potenza per le videoteche italiane, verrà inevitabilmente massacrato in fase di doppiaggio.

[FEFF8]
2 Become 1,

LAW Wing-cheong, 2006,
drama, International Festival Premiere

Ricordando il caso di Patrick Yau, è lecito o no aspettarsi qualcosa da un film Milkyway anche se non è diretto da Johnnie To ma da uno del suo staff? Law è il montatore di The mission, per dirne una, eppure – sarà che i film sulla malattia io proprio non li reggo – il suo lungometraggio d’esordio non è altro che uno spottone ministeriale sulla prevenzione del cancro al seno travestito da commedia melò. Law cerca di aggirare un progetto nato spacciato evitando almeno qualche patetismo di troppo, e facendo finta che non sia appunto uno spottone ministeriale. A far da contorno, scherzetti e schermaglie amorose, e horror vacui formale: due palle al cubo. A vedere quella dicitura ("a Milkyway film") sui titoli di testa piange il cuore e il telefono, ma d’altronde cosa potevamo pretendere da un progetto simile? A qualcuno, sono sicuro, sarà pure piaciuto: Miriam "Dumplings" Yeung a parte, io l’ho trovato atroce.

[FEFF8]
Dragon Squad,
Daniel LEE, 2005,
action thriller, European Premiere

Si vede facilmente, che Dragon squad è un action da esportazione. Simile all’idea – errata – che uno "straniero" potrebbe avere del cinema contemporaneo hongkonghese, il film è tutto montaggio e niente regia, tanti proiettili e nessun personaggio. L’antipode di Johhnie To e di Love Battlefield, e quindi l’antipode di tutto ciò che c’è ancora di bello nel cinema action di Hong Kong. Niente di criminale, comunque, e come al solito un dito sopra i prodotti che Stevel Seagal – proprio lui, ma qui produttore! – fa confezionare negli states. Ma insomma, un filmetto di nessun valore, e escluso qualche lampo di luce nella sparatoria centrale e nel finale graziealcielo esageratissimo, immediatamente da dimenticare. Sammo Hung fa jogging fumando il sigaro e ha delle gran tettone. Il personaggio di Michael Biehn – proprio lui, ma qui terminator! – si chiama Petros Davinci. Non ho altro da aggiungere.

[FEFF8]
The Glamorous Life Of Sachiko Hanai,
MEIKE Mitsuru, 2005,
pink movie, Italian Premiere

Uno dei punti spesso sottolineati dagli organizzatori di questo ottavo FEFF è il ritorno dell’erotismo. Tra ero-guro e pinku (ma non solo), il sesso ha un ruolo fondamentale nel programma del Far East Film 2006. Qui non si tratta certo di un porno: scovato in un "pulcioso teatrino" di Tokio dalla fantomatica coppia Baraccetti/Schilling, messe da parte le scene di sesso (nella tradizione del pinku, molto esplicite ma soft – insomma, senza mostrare i genitali), il film di Meike è un’allegra quanto sgangherata presa per i fondelli del nuovo imperialismo statunitense. Grezzissimo, incontrollato, completamente folle, degno di una distribuzione Troma ma sicuramente con qualche arma in più, terribilmente divertente. Un proiettile in testa trasforma una prostituta in filosofa, i personaggi scopano parlando di esistenzialismo e pragmatismo e si eccitano dicendo "Noah Chomski", le eiaculazioni sono buffe e iperboliche. E poi c’è il dito clonato di Bush (giuro) che masturba la protagonista (giurin giurella), una caverna in giappone che ospita i comandi per tutti i missili americani, l’esercito USA in forma di pupazzetto, e una killer ciccionissima. Se non ci fosse tutta questa carnazza (che è pesantuccia, dopo cena) sarebbe roba da perderci la testa.

[FEFF8]
All For Love,

MIN Kyu-dong, 2005,
romantic comedy, International Festival Premiere

Sarà il clima del festival, o sarà che io sui coreani sono poco attendibile, ma io All for love me lo sono proprio bevuto. Il film è costruito sul modello dei film corali statunitensi (Altman, Anderson, così via) e soprattutto – almeno pare, io non l’ho visto – su Love Actually. Sembra che l’esperimento – non ricordo altri coreani simili – sia perfettamente riuscito: All for love gira intorno a una miriade di personaggi, con singole scene che all’inizio sono saggiamente microscopiche per poi allungarsi (donando una leggerezza rara alla visione, nonostante il caos), e con un tono che parte dalla commedia romantico-brillante per sfociare poi nel dramma e infine in una catarsi collettiva. Forse un po’ conciliatoria – anche se non per tutti – rispetto al cinema coreano che siamo abituati a vedere, generalmente molto più crudele con i suoi personaggi. Qui Min è persino sadico-apocalittico nella parte centrale, ma a tutti alla fine è data una seconda chance. E poi, cacchio, l’amore trionfa. Non è bellissimo? Forse il film coreano più esportabile che mi sia mai capitato di vedere, personalmente una graditissima sopresa.

[FEFF8]
Rampo Noir
,
TAKEUCHI Suguru, JISSOJI Akio, SATO Hisayasu, KANEKO Atsushi, 2005,
erotic/horror omnibus, Italian Premiere

Un film formato da quattro episodi, ispirati ai racconti e alle opere dello scrittore eroguro novecentesco Edogawa Rampo, che condividono alcune isotopie (lo specchio, per esempio) e la presenza del nostro caro Tadanobu Asano.

Mars canal è diretto da un regista di spot, e si vede. Muto, è un oggetto inclassificabile e di estrema brevità, affascinante – anche perché c’è sempre in campo il culo di Tadanobu Asano – ma quasi inesistente nell’economia del film.

Mirror hell è dello stesso regista di A watcher in the attic, e si vede: anche qui la cinepresa gli è caduta per terra ed è rimasta storta. Decine di specchi in campo non bastano a fare un film per intellettuali, quattro gocce di cera sul petto di una donna nuda non bastano a perturbare, e anche se qualche idea buona c’è – la sfera-specchio, ma credo sia merito di Rampo – tutto affoga nella noia. Al secondo suo film che vedo, già odio Jissoji come il mio peggior nemico.

Caterpillar è il film dell’ospite del festival, Sato. Già meglio: almeno si cerca di turbare il pubblico come si deve: la donna che per non far andare il suo uomo in guerra lo trasforma in un bruco senza arti è roba da lasciarci il fegato. Peccato che invece il "film" abbini con difficoltà la sua anima sporca e disgustosa con una messa in scena fighetta e – in realtà – controllatissima. Inoltre, pesante come un mattone in fondo all’intestino. Mezza delusione, ma non è certo da buttare.

Crawling bugs, l’episodio del mangaka Kaneko, è un invito a nozze per un nippofilo. Ci sono tutti gli elementi che farebbero felice qualsiasi otaku: stanze coloratissime, musica jazz di contrasto, violenza estrema ma stilizzata e parodica, grotteschi head-fucking, Tadanobu Asano in mutande. Mi rendo conto che è una cosa costruita "a tavolino", ma è costruita davvero bene. Personalmente, ne sono uscito pazzo. Bellissimo.

[FEFF8]
Dear Dakanda,
Khomkrit TREEWIMOL, 2005,
youth melodrama, International Festival Premiere

Dear Dakanda è un film thailandese, eppure non è ridicolo, né esagerato, né macchiettistico. Non ci sono sparatorie, non si danno gomitate sulla testa, non si imita Hong Kong, non si imita il giappone. Dear Dakanda è un film thailandese che vuole solo raccontare la sua storia, una storia d’amore tra ragazzi e di passaggio all’età adulta, come tante altre, e lo fa con i mezzi e con i linguaggi più semplici. Un film leggerissimo, magari banale e senza personalità – a parte la trovata narrativa dei due "tempi" narrativi, passato e presente, che tendono ad incontrarsi – ma almeno sincero e innegabilmente piacevole.

[FEFF8]
Exodus: Tales From The Enchanted Kingdom,
Eric MATTI, 2005,
fantasy, European Premiere

Qualche lettore di questo blog mi vorrà male per questo, ma sono uscito dalla sala dopo una mezz’oretta, dando giusto il tempo al protagonista eponimo di raccogliere il suo micro-esercito di elementali di questa cippa. Insieme a me altra gente – il titolo del film rimanda probabilmente all’esodo di spettatori: persino Eric Matti se l’è data a gambe – ed è curioso mettere insieme tutti i film che si sono sentiti citare da noi fuggitivi: Power rangers, La storia infinita (o La storia fantastica, a scelta), Xeena (o Hercules, a scelta), il film dei Masters. Francamente, si ripete l’effetto-gagamboy, che potremmo chiamare ormai effetto-EricMatti: 103 minuti di questa roba puerile e ridicola non si possono proprio reggere. E’ anche divertente per qualche minuto, ma poi vedi che Matti fa sul serio, e ti vengono i nervi. Se il cinema filippino (che è giovane e ingenuo, e su cui di conseguenza si ripongono molte speranze) affiderà ancora le sue sorti commerciali future unicamente sull’alone di culto che questo registucolo microcefalo – ma convinto di essere il Peter Jackson di Manila – si è guadagnato in festival come il FEFF, avrà vita breve. Enchanted Kingdom è una specie di Gardaland filippino, e nell’incipit del film si vede l’ologramma di un magomerlino che, nella sala del "cinema dinamico", chiede ai bambini di spegnere i cellulari. Cielo!

[FEFF8]
Murder, Take One,
JANG Jin, 2005,
thriller, International Festival Premiere

Il nuovo film del regista di due film interessanti come Someone special e Guns & Talks è il racconto di un’indagine su un omicidio, raccontata in capitoli, ed è un film – se si può ancora dire – "coreanissimo": non contento di creare un estremo trambusto con i due 271 personaggi, Jang decide di basare il fascino del film – oltre che su una regia e su un montaggio sonoro molto sofisticati – sulla mescolanza continua dei generi. Così, se per tutto il film il thriller-noir più serio – con il solito balletto di interrogatori e poliziotti che menano i sospetti, un classico – va a braccetto con toni da commedia o addirittura da comedians, nell’ultima parte senza alcun preavviso diventa un ghost-movie. Tutto attorno all’indagine, una riflessione sull’invasività dei media (l’indagine è trasmessa in tv con grande successo: questa l’ho già sentita) che però fa un po’ acqua, mentre funziona meglio l’apparato visivo (l’inizio, con il carrello a salire che scopre la sezione dell’albergo è un pezzo da maestro). Comunque un bel film, molto tosto e ipnoticamente confusionario, ma cool e "eccitante". Probabilmente dimenticabile dopo una mezz’ora, ma dimenticabile con gran classe.

[FEFF8]
I’ll Call You,

LAM Tze Chung, 2006,
bittersweet comedy, International Festival Premiere

Se dico Lam Tze Chung, vi dice qualcosa? Difficile. Ma se dico "l’amico ciccione di Stephen Chow"? Ecco, Lam Tze Chung è l’amico ciccione di Chow in Shaolin Soccer e Kung Fu(sion) Hustle. All’amico ciccione di Stephen Chow hanno dato una cinepresa digitale e un po’ di soldi e gli hanno detto: hai fatto film con Chow, conosci un fracco di gente, sarai sicuramente bravissimo, sei simpatico e ciccione, dai, scrivi e dirigi un film! Mistero della fede. Lam non è di certo un idiota, perché il suo filmetto qualche trovata ce l’ha, ed è fresco, naif, stupidotto, romantico. Come il cervello di un adolescente. Son cose belle. Quello che manca è appunto tutto ciò che Lam avrebbe dovuto imparare da Chow: il senso del ritmo, il tempo comico, e non ultima la regia. Perché I’ll call you - fatto persino peggiorato dalle inutili e prevedibili citazioni di Shaolin Soccer – è un film di una sciatteria rovinosa e blanda, nonostante i guizzi digitali della primissima parte. Ciò nonostante, tutta la sequenza della "prigione" (dove il protagonista vive metaforicamente il suo dolore amoroso) è molto originale, e il finale è davvero bello. Un po’ pochino, ma c’è chi si accontenta. E poi, Andy Lau che canta ossessivamente, conciato come in Running on Karma? Instant-cult.

Nota di costume, che così siete contenti: mi sono fatto una foto con Lam Tze Chung. Anzi, no, ho fatto una foto con l’amico ciccione di Stephen Chow. Siamo belli, bellissimi, e stupidissimi.

[FEFF8]
Home Sweet Home,
Soi CHEANG, 2005,
psycho thriller, Italian Premiere

Una vera delusione è tale solo se arriva da chi non te l’aspetti. Così, il regista del film più bello (tra quelli "in concorso") della scorsa edizione del FEFF, ovvero il fenomenale Love Battlefield, tornato alla vecchia passione dell’horror (suoi il divertente Horror hotline e il bel New blood - che non ho mai finito di vedere) sforna un film davvero brutto, quasi tutto sbagliato. Cheang Pou-Soi è ancora bravo a gestire la presa, ma non bastano quattro carrelli ben assestati per coprire la vergogna di uno psicothriller ambiziosissimo (per il tono storico/sociale che infila nella seconda parte) eppure decisamente tendente al ridicolo (il make-up da mascherata trasha di Karena Lam). E c’è pure la donna con la figlia e l’inquietante palazzo: è ancora davvero prescindere (o almeno non tentare di scopiazzare) dalla sterminata serie di horror nipponici e hongkonghesi degli ultimi dieci anni? Si salva ben poco, e ovviamente si salva Qi Shu. Forse è davvero la donna più bella del mondo, se mi ha fatto rimanere in sala fino alla fine.

[FEFF8]
Love Is A Crazy Thing,

OH Seok-keun, 2005
romantic drama, Italian Premiere

Non ci si faccia ingannare dal titolo per la distribuzione internazionale: Love is a crazy thing non è una commediola né un film serenamente romantico, ma un dramma femminile che parte dalla crisi personale di una bella donna trentenne che per mantenere i due figli diventa un’accompagnatrice part-time, e finisce per parlare di auto sopravvivenza e del desiderio/bisogno di essere madri (due temi ricorrenti al FEFF8), di disperazione e solitudine, e soprattutto di prostituzione dell’individuo nella società coreana. Inutile dire che, come spesso accade, il film è quasi assolutamente universalista nel modo in cui tratta i suoi temi: così, è impossibile non rimanere sorpresi, scioccati, commossi. Un film che non scende troppo a patti con il pubblico, che sa essere duro e picchiare nei punti dove fa più male – anche letteralmente – e che, nonostante sia registicamente poco personale rispetto a molti suoi contemporanei, inventando poco – le ellissi/dissolvenze – e dedicandosi per lo più alla direzione degli attori (va detto che in Italia se qualcuno girasse in questo modo grideremmo al miracolo), ottiene la mia totale approvazione. Jeon Mi-seon è bravissima, quasi un’altra Lee Yeong-ae. Il tipo di cui si innamora è il gemello segreto di Quentin Tarantino.

[FEFF8]
A Watcher In The Attic
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JISSOJI Akio,
1994, erotic mystery

Il FEFF quest’anno dedica un focus al regista giapponese Jissoji e alla figura dello scrittore Edogawa Rampo. E’ l’occasione per tirare fuori dai cassetti impolverati questo eroguruo, incontro tra le due menti girato 12 anni fa, ma che – sia per volere artistico che per una notevole senilità dell’opera – sembra molto, molto più vecchio. Detto francamente, A watcher in the attic è per la maggior parte della sua durata una noia mortale, un oggetto indeciso e malriuscito che poco si riesce ad appoggiare sulle sue insopportabili sghembe, sui (pochi) dialoghi recitati con distacco brechtiano, e sulle tantissime scene di sesso, quasi pinku, anzi quasi porno. Ci sono dei lampi di bellezza, furiosa o meditabonda, provocati da trovate registiche (una lunga soggettiva di un ago che si avvicina ad una bocca spalancata) o fotografiche (la modella che si asciuga la bocca con la mano insanguinata), la parte narrativa è all’altezza – probabilmente – dell’affascinante "racconto morale" conandoyliano che la ha ispirata, e l’atmosfera decadente degli anni ’20 – con appropriati riferimenti alla fine del muto e alle mutazioni della percezione e dello sguardo – è ben ricostruita. Però, che due palle.

[FEFF8]
Art of Fighting
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SHIN Han-sol, 2006,
action, International Festival Premiere

Art of fighting è l’altra faccia di See you after school, il suo lato lower class (Cinema service versus CJ Entertainment?). Entrambi parlano della riscossa di un perdente sui bulli che lo malmenano a scuola. Ma là c’era il demenziale, le scaramucce, le divise, le arti marziali. Qui c’è la strada, il sangue, lo sputo, l’istituto tecnico, il riformatorio. E una lotta che è sporca come la strada e come le case, e come gli esseri umani che le popolano. E anche se la storia, usando la definizione di coma, è quella di un "Karate Kid de borgata", e non si risparmia anche di "scherzare" il pubblico rinverdendo l’abbinamento ormai spesso desueto tra cinema coreano e violenza quasi-gratuita, la rivincita "scorretta" di Byung-Tae sui soprusi dei suoi colleghi non fatica ad emozionare. Schietto e ironico, sornione e mai prevedibile. Niente male davvero.

The Shopaholics, WAI Ka-fai, 2006

[FEFF8]
The Shopaholics,
WAI Ka-fai, 2006,
comedy, International Festival Premiere

Quando ero piccolo avevo un VCR mezzo scassato, e per andare avanti veloce si doveva tenere il dito sul tasto. Io usavo un pezzo di plastica infilato nel tasto. Dopo un po’, il VCR si è rotto. The shopaholics (non) funziona così: va bene rappresentare la frenesia della metropoli con uno stile altrettanto rutilante, ma dopo 5 minuti così ci si è già rotti, a metà film si è molto nervosi, e alla fine la sensazione è quella di avere avuto per due ore la testa in un frullatore. Wai Ka-fai senza Johnnie To fa un cinema che è l’esatto opposto di quello del suo socio e amico, cioè irrefrenabile ma anche smisurato e fastidioso. Una screwball comedy con il fast-forward sempre acceso, pressoché inutile e addirittura irritante (anche per il cast, tutti bravissimi quanto sprecati): è un peccato che le fregature maggiori del FEFF arrivino (vedasi Yesterday once more l’anno scorso) proprio dai loro più cari amici. Me la faccio lo stesso la foto con Wai?

[FEFF8]
See You After School,
LEE Seok-Hoon, 2006,
action comedy, International Festival Premiere

Il primo giorno in una nuova scuola per il "ragazzo più sfigato del mondo" (in senso clinico, è pure oggetto di studio), raccontato attraverso continue scansioni temporali, diventa il giorno della sua riscossa. Qualche volta la comicità, come nei modelli nerd vs bullies statunitensi, è propriamente demenziale quando non scatologica. Si ride di gusto, senza troppa vergogna ma senza nemmeno cadere nello schifosetto come in lavori simili come 100 days with mr arrogant. Ma essendo una commedia coreana, e abbastanza tipologica di quelle che in patria di solito sbancano le casse e la cui forza è l’intreccio dei generi (oltre che la confezione professionalissima anche se impersonale), alla commedia si sostituisce nel finale una svolta tragico/epica assolutamente fuori luogo, e, proprio per questo adorabile. See you after school è un film che faresti vedere ai tuoi migliori amici, e – vista la reazione della sala, tra applausi a scena aperta e un fondo continuo di risa – vi divertireste tutti come degli idioti. Evviva.

[FEFF8]
2 Young
,
Derek YEE, 2005,
romance, European Premiere

L’ultimo film del bravissimo regista di One nite in Mongkok conferma soprattutto le sue doti di affabulatore: 2 young è una commedia adolescenziale che si trasforma in un dramma generazionale, sullo sfondo di una lotta di classe all’acqua di rose, abbastanza reazionario e banalissimo. C’è persino il finale retorico in una corte di tribunale. Eppure, in sala si sentiva letteralmente il rumore dei fazzoletti di carta estratti dalle tasche: io le lacrime le ho asciugate con la maglietta. Piacevolissimo e vendibilissimo, quindi, altro che pacco: un prodotto tra quelli per cui ci si meraviglia che il cinema hongkonghese (anche ora che "non è più quello di una volta") non innondi le sale occidentali. Cast strepitoso, ma standing ovation per Eric Tsang e per i suoi "assoli", capace di oscurare persino Anthony "prezzemolino" Wong. Fiona Sit è la fidanzatina che avreste sempre voluto avere: attenti, però.

Shinobi,
SHIMOYAMA Ten, 2005,
Ninjia action, Italian Premiere

Da una storia simile, così significativa di per sé nonostante l’assenza – quasi – di un plot, in mano ad un regista così "mercenario" (per modo di dire, vista la disparità del metodo produttivo) ci si poteva aspettare un crollo totale, con i soliti eccessi di pacchianate digitali, o con l’ormai sputtanatissimo uso dei colori ipersaturi. E invece Shimoyama costruisce un film visivamente strabiliante e ricco di duelli ipermoderni, ma inserito in un contesto lentissimo e pensoso. Shinobi non è serio, è serioso. Seriosissimo: potrebbe annoiare se visto nel mood sbagliato, e sicuramente mostra che – almeno nelle intenzioni – c’è qualcosa oltre al mero action. Quindi, se ci si aspetta uno stupido film di ninja si rimane senz’altro delusi, ma dai molti duelli (o meglio dagli incontri, che occupano gran parte del film), l’epica degli shinobi, virtuosa e decadente – destinata a spegnersi insieme al potere corrotto a cui si affida per avere un posto nel mondo – riesce ad esplodere vivamente sullo schermo, con una netta risalita nella seconda parte – e qualche momento davvero bellissimo nel finale. Ho molti dubbi che il tutto renda così bene anche su un piccolo schermo (anzi, ne sono sicuro), ma – mi si perdoni l’ardita terminologia – Shinobi è un film d’intrattenimento con i controcazzi e le contropalle, e con più di un’ambizione risolta in tutto ciò che non è semplice saltare e darsi le botte e uccidere. Insomma, fichissimo. Nonostante un mio personalissimo semi-abbiocco, dentro la testa mi sono divertito da pazzi.

[FEFF8]
Isabella
,
PANG Ho-cheung, 2006,
drama, Italian Premiere

Ambientato a Macao durante i turbolenti giorni del "passaggio di consegne" tra Portogallo e Cina, Isabella continua in un certo senso il percorso di Beyond our ken. Anche qui una storia di dubbi e rivelazioni e mezze verità, anche qui la difficoltà o impossibilità di rapporti, anche qui una confezione lucida ed estetizzata, anche qui un umorismo cinico e understated. In qualche modo, Pang calca un po’ la mano sui suoi "stilemi", e il film risulta più stancante e meno fresco del precedente: ma dall’altra parte, in realtà, lo studio dei personaggi rivela una maggiore profondità, e la struttura incatenata con i "cartelli" crea il contesto in modo originale. Questa storia di un rapporto padre-figlia "ribaltato" (sulla necessità di essere figlia, e di essere padre) apre forse la strada ad un nuovo percorso, più "adulto", ma comunque Pang si conferma uno degli sguardi più interessanti del cinema dell’ex-colonia. E poi, di fronte a una fotografia e a una colonna sonora così belle, la prima giocata anche sui cambi repentini di luce naturale e la seconda sui contrasti culturali tra i due paesi, io proprio non resisto. Bravissimi i due attori, e inutile soffermarsi sulla belezza di Isabella Leong. Anthony Wong compare tre volte, si strafoga, e insulta la cucina portoghese.

FEFF8
Hong Kong Nocturne
,
INOUE Umetsugu,
Hong Kong 1967

Il più celebre tra i musical girati dal regista giapponese (presente a Udine, un delizioso vecchietto claudicante) ad Hong Kong per i fratelli Shaw è una vera meraviglia, nel senso più musical del termine: la storia-fiume di tre sorelle, tanto colorata quanto funerea, dall’emancipazione familiare, alla decadenza, alla perdita, alla riscossa. In un mondo fatto di sogni e fantasmagorie dove la musica (e il musical) è un luogo a parte dove la morte e la malattia non esistono più, un mondo (l’unico) dove poter essere felici. E cantare! Ballare! Suonare! Gara di figaggine pop tra le tre protagoniste, e molti i numeri da antologia del genere tout court. Tra i tanti, impossibile almeno per me non citare uno – da amore a primo sguardo – che si trasforma magicamente dal sogno di un personaggio a quello di un altro.