Il regista di matrimoni
di Marco Bellocchio, 2006
Proseguendo in modo preciso sui percorsi già intrapresi nel meraviglioso L’ora di religione, ma facendo tesoro anche dell’esperienza più onirista del bellissimo Buongiorno notte, Bellocchio sforna un’altra opera estremamente preziosa nel rinsecchito panorama del cinema italiano, che segna un ulteriore e coerente passo sulla strada recente del regista de I pugni in tasca. Mantenendo forse questa volta toni più leggeri, nonostante l’inquietudine generale, perché Il regista di matrimoni è alla fine anche uno scherzo, ovviamente ben congegnato, che si sporca le mani persino con meccanismi narrativi derivati dal giallo. Ciò nonostante, le tematiche hanno anche in questo caso una forte valenza politica.
I temi sono simili a quelli del film del 2002 (l’arte e la vita, la morte e il sacro) e vengono affrontati sia con le armi della metafora e del sogno, in una Cefalù sonnacchiosa ma piena di occhi – vero luogo della mente e allo stesso tempo personaggio attivo – sia attraverso urla che esplicitano perché non possono più rimanere in silenzio (il monologo da brividi di Smamma sulla spiaggia) la protesta di un artista sullo status quo dei rapporti di potere nel nostro paese (ma non solo). Il regista di matrimoni è infatti soprattutto un film sul potere, discorso che si intreccia abilmente con gli altri – più "metafisici", a modo loro – nel raccontare la storia di un artista doppiamente ingannato, e di un amore che è sovvertimento di tradizioni – l’Innominato che fugge con Lucia, nel sogno/desiderio di Bona – ma non solo. In nome di un’ultima speranza, quell’amore che secondo Smamma non esiste più o non è mai esistito? O forse solo il capriccio di un potente, la sua rivincita interessata su un’arte defunta per via della sua stessa ingenuità? In un mondo in cui i morti comandano, l’artista è l’ultimo degli sciocchi.
Un film che se non eccelle da un punto di vista figurativo quanto i precedenti, si rivela però straordinario nel modo in cui si immerge nel buio siciliano e nei contrasti con la luce, sempre pronto ad uscire dal velo della notte se stemperato dallo sguardo ironico di Castellitto – che non è mai così bravo come quando viene diretto da Bellocchio. Molto complesso invece da un punto di vista linguistico, per la ricchezza di debrayage e quindi di altrettanti "occhi vedenti" all’interno della narrazione, ma nonostante questa scelta Bellocchio non abdica mai a teorismi di sorta, regalando al contrario – una volta compresi i meccanismi, non semplicissimi – un’esperienza più gastrica che non cerebrale, più angosciante che non intellettuale, che se non è all’altezza degli ultimi due lavori del regista piacentino, è sicuramente – già per l’indole, ma anche per i risultati – un gradino sopra quasi tutto il cinema italiano degli ultim(issim)i tempi.
Contrasto dei contrasti, i titoli di coda sono assolutamente da fischiettare (Mariangela Melato, "Sola me ne vo per la città"), magari con impresso ancora in mente quella conclusione beffarda e bizzarra, e quel geniale "falso controcampo" finale. Quei due sorrisi che si incontrano. Così lontani e così vicini?
Update: se avete apprezzato la suddetta canzone nella versione della Melato, adorerete la versione di Nella Colombo (1945). Cliccate qui, e alzate le casse.
Già, che meraviglia quel falso controcampo… e sono d’accordo praticamente su tutto, pure sulla terminologia usata..!
gran bel post, ma rimango sulle mie posizioni un po’ più freddine.
Andrea
Vero: il monologo di Smamma sulla spiaggia è davvero da brividi… memorabile anche lo sfogo houellebecq-celiniano in preda ai fumi dell’alcool… riguardo a Castellitto, anche la sua interpretazione in Caterina va in città è degna di nota (seppur infinitamente più di maniera)…
Sì, si è capito che ti è piaciuto. E “débrayage” è un colpo basso. ^^
secondo me l’episodio di Cavina è un po’ in contrasto – pur essendo bellissimo e Cavina è magistrale – con l’atmosfera del film, più visiva e meno verbosa. però è proprio una sciocchezza. ad avercene altri film italiani così.
assolutamente d’accordo sul ftto che castellitto con bellocchio riveli proprio una marcia in più.
@private: ahah. gradino. ah. ahah.
@andrea: ti odio.
@jerry: “houellebecq-celiniano”. questo sì che è un colpo basso. e comunque sì, Castellitto è sempre bravo, ma ribadisco, mai come quando lo dirige bellocchio.
@udp: ne sono felice. quel termine è un vaghissimo residuato degli anni di semiotica buttati all’ortiche.
@noodles: ho pure già ribadito, che altro dire? tanto per aggiungere, un grande Cavina.
grazie mille della versione d’epoca di quella metaforica canzone sulla confusione del dopoguerra.Se ti interessa ne ho altre cover ciao alp
eccome se mi interessa
non mi è piaciuto, fatto con maestria certo, ma cosa lascia?
a me interesserebbe trovare la versione del film, ascoltata tra l’altro la prima volta al progrmma del renzo ^_^
ma a quanto pare i sistemi di scaricaggio mi mettono tutti in coda…
una delle cose più brutte viste negli ultimi anni. ernia di marmo al festival dei significati! unico elemento positivo la canzone dei titoli di coda… ma arriva troppo tardi.
L’esperienza di visione di questo film, hai detto bene, è senz’altro gastrica. Io volevo vomitare dopo i primi 5 minuti, o meglio, appena mi son resa conto della simbologia dietro ai nomi dei personaggi. Più che scritto da Fagioli il film sembra scritto dopo un abuso di piacentinissimi pisarei e fasò…
rowena
ps: concordo con te sulla canzone dei titoli di coda, suggerisco anche la visione della puntata di cinematografo della scorsa domenica, dove la “bona” Finocchiaro rivelava al Marzullone di essersi rifiutata di vedere Scary Movie 4. Contenta lei…
rowena (bis)
@kansei, rowena: c’è del lieve livore o sbaglio? comunque difficile essere meno d’accordo, rimango stabilissimo sul mio giudizio semi-entusiasta.
sulla finocchiaro potrei dire che è bona di nome e di fatto, se non fosse una battuta brutta e scontata. e quindi non lo dico.
io scary movie 4 lo vorrei vedere ma ehm ehm non ho soldi.
Se proprio dovessi andare al cinema a vedere un film italiano in questo periodo andrei a vedere “Sangue” di Libero De Rienzo…se solo arrivasse dalle mie parti!
Paco
i morti la visione la beffa: girarsi di scatto…
volete aggiungere la mia recensione su cinebloggerrrrrrrrrrrrrr
grazie
rob.
io te l’ho anche aggiunto, ma il post non era mio, eh.
D’accordissimo con te kekkoz, ma i titoli di coda mi sono piaciuti ANCHE quelli. Li trovo così dreamersianamente/provocatoriamente/scherzosamente bertolucciani….
deh ma guarda che MI sono piaciuti. eccome! è da allora che fischietto quella canzone.
fischiettare is good.