Thumbsucker
di Mike Mills, 2005
Thumbsucker dà l’impressione fin dai primi minuti, per non dire fin dalla locandina, di essere un tipico Sundance movie, cotto e cucinato per le giurie del festival utahiano. E in effetti, sottratta la malafede dietrologista, non si avrebbero tutti i torti: è un esordio, ha come line up due volti del cinema "laterale" (D’Onofrio e Swinton, entrambi eccezionali) e dietro un volto notissimo come Keanu Reeves (dentista zen e bipolare), è orgogliosamente indie-pendent, punta moltissimo sulla colonna sonora, racconta il quotidiano ma con una decisa attenzione formale, eccetera. E in effetti c’è stato, al Sundance. Ma pensa te.
Ma andiamo con ordine: Thumbsucker è una "storia di passaggio all’età adulta", indecentemente diffusa versione contemporanea del romanzo picaresco. La metafora di rito qui non è proprio sottilissima ma è almeno originale, ed è quella del titolo: Justin si succhia il pollice. Detta così sembra una boiata, ed invece l’opera prima di Mills è un film che, con tutti i suoi limiti, tra cui ingenuità tipiche dell’esordiente (a scanso di sorprese) come un eccessivo amore per i carrelli laterali al ralenti - che va bene è bello da vedere ma dopo un po’ ho capito l’antifona – mostra una notevole sensibilità nell’approcciarsi ai temi delicatissimi della crescita e della dipendenza.
La forza del film, che non vedremo in italia prima dell’inverno prima di metà Giugno ma che conquisterà senza fatica una buona fetta di pubblico più trendy come altri indie movie prima di lui, è la sua struttura che, con una linearità a volte spezzata da lampi di bizzarria o da montaggi paralleli ben più risaputi (come la sequenza dell’ascesa di Justin nell’olimpo dei debate club), sembra riprendere i meccanismi della fiaba (o del videogioco), in cui ogni prova sottoposta al protagonista presuppone la prova successiva e l’acquisizione di facoltà permette al personaggio di superare di volta in volta gli stadi. Ovvero la dipendenza di turno, o meglio il proprio limite: il thumbsucking (che è poi l’impossibilità di crescere – ma perché crescere?), il Ritalin (che poi è ingerenza degli adulti), la marijuana (che poi è l’amore per Rebecca – e anche se la canna aiuta solo con l’inganno, è evidentemente meglio del Prozac), e via dicendo.
Ma il punto che più stupisce è stranamente proprio la "morale della favola", che pur essendo una vera e propria "moraletta" intorno a cui il film gira intorno a volte zoppicando, e pur venendo esplicitata nel finale con eccessi didascalici (viene letteralmente detta dal personaggio di Reeves), finisce per cogliere nel segno. Non per la propria originalità – perché era palese che sarebbe finita così – ma perché lo spettatore vi è portato con naturalezza disarmante. Il girotondo di dipendenze, ipocrisie e ignoranze della società provinciale e del piccolo universo che gira intorno a Justin, danza piacevole ma a volte sotterraneamente crudele, diventa così un canto liberatorio e ottimista sull’accettazione di noi stessi, dei nostri limiti, e pure delle nostre addictions. E senza dimenticare che dietro quella corsa e quel sorriso c’è una truffa bella e buona, altro che raggiunta maturità. Strano che non l’abbia sbancato, il Sundance.
Tre note, per chiudere. La prima è che Lou Pucci, premiato (lui sì) al Sundance e persino a Berlino, è di una bravura impressionante: con il suo understatement e la sua voce rotta da adolescente, è capace di tenere testa (e non solo) agli attori citati en passant più sopra.
La seconda è questa: "Rated R for drug/alcohol use and sexuality involving teens, language and a disturbing image"? Ha. Ha-ha-ha. Suvvia. Comunque, al liceo, chi non si sarebbe innamorato di Kelli "sono fotogenica quando tengo in bocca degli oggetti" Garner?
La terza è che la colonna sonora, cominciata da Elliott Smith prima che gli comparissero misteriosamente delle coltellate nel petto e completata dagli eccezionali The Poliphonic Spree, sarà anche troppo invasiva e sarà che contribuisce troppo (di sicuro più della media) al tono del film, ma è roba da loop incontrollato. Cosa che sta accadendo ora, mentre vi scrivo. Ed ecco un regalo per voi.
Thirteen – Elliott Smith (mp3) (via Pimps of Gore)
Ciao, passo sul tuo blog per leggere nuove entry e commenti. Mi piace assai ^_^
Se vuoi puoi anche passare sul mio blog e vedere questo sito. Ciao
“storia di passaggio all’età adulta”
Ah, un documentario sulla pubertà.
Guarda che Thumbsucker esce a metà Giugno.
Vio
ah sì? grazie dell’informazione, ho corretto.
Mi hai incuriosito non poco! Andrò sicuramente a vederlo!
sì? non era mia intenzione! eheh
Ci hai preso in pieno, ottima rece davvero
grazie Andrea, sono molto contento ti sia piaciuta.
che non vedremo in italia prima dell’inverno prima di metà Giugno …
dipende da dove si scrive. qui da me non è arrivato per niente. ma terribilmente incuriositp dalla tua rece me lo sono cercato con… metodi alternativi. e il consiglio era davvero ottimo. e Kelli Garner è davvero ad alto tasso di tutto. ^^
molto carina l’ironia spesa per un’opera prima dallo sguardo certamente originale (siamo lontani anni luce dall’uso della musica di gente come cameron Crowe) da un uso degli attori superbo (non è che un attore è “bravo” per caso…) e da una storia che dice molto più di quanto appaia. Ad essere fighette e trendy sono altre storie oppure lo sono i commenti del tipo: ma quanto è bona quella, chiunque al liceo ci avrebbe provato con lei, ecc. In modo più originale si poteva chiosare: Justin è tremendamente sexy nel suo cercare di capirsi, rispetto alla rinuncia a farlo da parte di tutti gli altri.
caro oscarissimo (ma visto che ti sei iscritto, perché non fai login così ti firmi?), sono impaziente di vedere il tuo blog dove potrai chiosare come più ti aggrada. nevvero?
e poi, non siamo sempre persone serie, noialtri, soprattutto quando si scherza nei corsivi. sennò ci si annoia.
(tutto ciò detto con il sorriso sulle labbra, deh)