Le pressentiment
di Jean-Pierre Darrousin
Settimana della critica

La SIC apre i battenti ufficiali con l’opera prima di un volto noto del cinema francese. Il passaggio di consegne non porta sempre a risultati eccellenti, e Darrousin è sicuramente preoccupato più della costruzione dei personaggi e della (eccellente) recitazione, che di quella della scena. Ma poco male: il suo Le pressentiment non solo è un film fondamentalmente riuscito, e godibile anche per chi non gradisce questo cinema (ancora) così europeista, ma ha diversi pregi non indifferenti. Prima di tutto, l’ambientazione periferica. Secondo, la capacità di non utilizzare la struttura onirica del flash-forward in modo gratuito ma assolutamente in funzione del progetto filmico. Terzo, la sottile ironia sorniona della sua performance, capace di far sorridere ed esprimere il suo messaggio solo con uno sguardo. Quarto (e forse nemmeno ultimo), la capacità di scavo all’interno di un personaggio che cerca di convivere tra le "buone intenzioni" – che spesso non coincidono con il bene assoluto, si riflette – nei confronti del mondo e della gente, e l’innata ipocrisia sociale (sia nei "quartieri alti" da cui fugge che nei "quartieri bassi" in cui si ritrova) di quest’ultima. Con una visione non banale della morte, e un’occhio rivolto ad un’ultima speranza di innocenza, un’innocenza che balla saltellando sul letto, con le cuffie nelle orecchie.

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