La guerra dei fiori rossi (Kan shang qu hen mei)
di Zhang Yuan, 2006
In queste ore pare che splinder abbia il suo solito ciclo mestruale. Quindi probabilmente non leggerete questo post. Ma se state leggendo queste righe, ecco, allora significa che state leggendo questo post.
Il nuovo film del regista Zhang Yuan, noto soprattutto per il Diciassette anni che fece incetta di premi minori a Venezia nel cinesissimo anno del Leone d’Oro a Non uno di meno, ci ha messo diverso tempo a trovare il suo posto nelle nostre sale. Passato a Berlino, ad Alba e addirittura al Sundance, nel suo paese coproduttore (ovvero il nostro) arriverà solo all’inizio del prossimo anno.
Ma l’attesa, pur non enorme, va detto, ma incuriosita – e c’è da aspettarsi una distribuzione sbriciolata ai minimi termini – non era nemmeno così meritata: Zhang Yuan confeziona un filmetto gentile, insignificante e noiosetto, che cerca di barcamenarsi tra una visione "critica" della società cinese, con un inno all’anarchia pura in contrasto con la militarizzazione (e castrazione) degli istinti primari infantili, e un ritratto pessimista ma troppo ambiguo di un destino di solitudine che attende proprio chi esce dai ranghi e scappa per imparare di nuovo a giocare.
Azzeccando magari qualche scena, ma sbilanciandosi troppo poco nel tentativo di fare uno Zero in condotta davvero fuori tempo. Ma al di là dei temi, che sono interessanti più sulla carta che sullo schermo, il problema principale di La guerra dei fiori rossi è il modo in cui vengono affrontati: perché insomma, vedere un gruppo di bambini che marcia in fila indiana nel cortile mentre accanto a loro si svolge una rigidissima esercitazione militare – seguìto dai bambini stessi che scherzano facendo il saluto e che "giocano alla guerra" – regala davvero un nuovo significato alla parola "didascalico".
Coprodotto dalla Downtown Pictures di Marco Müller, e l’intervento italiano è a volte diretto, per esempio nel montaggio di Jacopo Quadri (che fa il suo accademico lavoro senza troppe sbavature) e nelle musiche dell’ex-bellocchiano Carlo Crivelli. Sono proprio queste ultime forse a dare la mazzata finale ad un film già di per sè abbastanza malriuscito: invadenti e inutilmente pompose, ricercano un contrasto usando toni da commedia o da thriller, ma risultano soltanto note stonate.
Grandi speranze per la deliziosa Li Xiaofeng. Papà papà, mi compri quella cinese lì?
Nelle sale italiane dal 12 Gennaio 2007
forse ho la febbre ma l’idea che un film intitolato diciassette anni faccia incetta di premi minori mi ha fatto ridere per tutto il post
sono troppo mainstream se faccio gli auguri
comunque, devo riprendere un po’ di tue recensioni, sono rimasto indietro.. aiuto!!!!
Quella cinese lì…la vorrei tanto anch’io. Multiproprietà?