She’s the man
di Andy Fickman, 2006
Prima di tutto, non chiedetemi per quale ragione io abbia visto questo film. Un attimo di debolezza notturna, la malinconia della perduta gioventù, la speranza di un briciolo di sano e disimpegnato divertimento, ragazze ventenni che interpretano studentesse di sedici anni. Fatto sta, l’ho visto. Inutile recriminare, Padre.
Scherzavo. She’s the man è bellissimo. Nel suo genere, ovvero quello della "teen comedy", anzi meglio del sottogenere "riadattamento di una commedia di Shakespeare ambientata in una high school così facciamo vedere quanto è attuale e com’è cool il nostro bardo che si vede che conosciamo solo lui perché lo citiamo ovunque e pure abbastanza a sproposito (rivolgersi a Dayton e Faris, ndr) mentre Geoffrey Chaucer giace nella tomba là nel pian", dicevo, nel suo genere è sublime. Dopotutto, questo è un mondo fatto di relatività, strati e strati di relatività. Dunque, She’s the man è il 23esimo (giuro) adattamento cinematografico di La dodicesima notte. Devo dire che ne sentivamo la mancanza. Ehi, Kenneth? Ci sei? Ken? Kenneth? Ehi?
Ma il problema non è il fatto che ci sia tutto quello che ci si può aspettare da una high scool comedy, dalla madre schizzata e fissata con la debuttanza al fratello fattone che scappa dalla finestra (in questo caso edulcorato in wannabe-musicista-indie con la maglietta dei – mh? – Violent Femmes), dalla ragazza bionda stronza oca al tipo che è figo che però c’ha i sentimenti e chissà poi alla fine chi se lo va a scopare, fino a tutta e dico tutta la maledetta struttura: passi l’ascesa/caduta/risoluzione, passino i montages (rivolgersi a Parker e Stone, ndr), passi l’happy end, ma che in quest’ultimo persino i genitori divorziati et assolutamente incompatibili – scusate lo spoiler – tornino a trombare, scusate, è davvero troppo. Dice, è Shakespeare. Dico, ma che altro hai fatto al liceo oltre a giocare a football ed eventualmente a violentare le cheerleader?
No, il problema è Amanda Bynes, una ragazza e il suo sogno. Perché io, all’inizio del film, ero proprio innamorato di Amanda Bynes. Non era troppo bella ma decisamente carina, piccoletta e non banale, un po’ rotondetta e un po’ maschiaccia (ma per finta eh, come se bastasse un cappello con la visiera – dai, è tipo la Hathaway nel Diavolo veste Prada, non è che ti metti un maglione largo e non si vede quanto sei bona là sotto – e anche in questo caso lo sai che poi alla fine te lo tira tira fuori, il vestitone da caccia), e poi non banale, simpatica, maggiorenne, evviva.
Ma poi si mette – come da copione – nei panni del fratello, e diventa questa specie di impressionante ibrido androgino, e ti crolla il mondo addosso perché era così carina in costume da bagno, e se non fosse per l’effetto-Superpippo per cui tutta la gente di questa scuola ha a) le cataratte o a scelta b) passato l’infanzia ad ammazzarsi di seghe per non capire che quel tizio ha la vagina*, questa specie di inguardabile mostro dalle fattezze vagamente simili a quelle di un imberbe Mario Giordano in cui la deliziosamente incapace Bynes si trasforma è talmente indecente da poter risollevare tutto il film e farlo diventare, che so, tra venti o trent’anni, un manifesto queer del millennio che nasce.
Ovviamente sto scherzando.
*a tal proposito, visto che il film è ancora inedito nel nostro paese, propongo ai sempre ottimi distributori italiani un titolo azzeccato: Ehi, quel tizio ha la vagina, un film di Andy Fickman.