[masters of horror, season 2]
Prima parte
*ipotizzando che la qualità sia inferiore di quella – già altalenante – della stagione precedente, quest’anno i post sulla serie creata da Mick Garris per Showtime saranno pubblicati a gruppi di tre, piano piano.
S02E01 – The damned thing
di Tobe Hooper
Dance of the dead, nonostante la luciferina presenza di Robert Englund, era stato una notevole delusione. Questa volta sembra andare un briciolo meglio, ma solo in apparenza: il regista texano infatti, ispirandosi a un apocalittico racconto ottocentesco cripto-ambientalista di Ambrose Pierce, riadattato senza troppi giri di parole dal figlio del mitico Richard Matheson, azzecca un inizio tesissimo, con una scena familiare in cui irrompe la follia e un inseguimento shininghiano nei campi di granoturco. Ma poi sbaglia praticamente tutto il resto, dal tremendo cast al mostro grosso di fango. Unico vero brivido, il tizio che si massacra la faccia a martellate: una pacchia, per noi che ci garbano i martelli. Incredibile che sui DVD delle ultime inaffrontabili opere di Hooper campeggino ancora titoli come Poltergeist e Non aprite quella porta: quanto ci metteranno a capirlo tutti che ce lo siamo giocato?
S02E02 – Family
di John Landis
L’episodio di uno dei registi più cari alla mia generazione, quella cresciuta guardando in tv i grandissimi film da lui girati tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, riconferma la piacevole sensazione provata con lo spassosissimo Deer Woman. E cioè, che non tutto è perduto, e che Landis ha ancora talento da vendere. Scritto dallo sceneggiatore dell’interessante Frailty e dominato dall’interpretazione di George Wendt (storico attore di Cheers), il film di Landis è un’operetta ironica e caustica su un uomo che reagisce alla solitudine costruendosi una famiglia "su misura", nascondendo anche una riflessione sagace e pessimista sull’impossibile serenità del nido familiare. Un gran bel divertimento, e per una volta un gran bel twist finale. Magari con qualche calo di ritmo: ma è sempre un piacere riaverti a casa, zio John.
S02E03 – The V word
di Ernest Dickerson
Pochissime parole sul bruttissimo capitolo diretto dal direttore della fotografia di tutto lo Spike Lee del primo periodo, passato di recente a dirigere episodi random di una quantità impressionante di (pur ottime) serie televisive. Un film di vampiri con tutti i crismi del caso, con l’unica differenza che invece di due buchetti questi vampiri si strappano via la pelle dal collo e poi bevono. Uffa. Michael Ironside è bollitissimo, e non farebbe paura nemmeno a una mosca timida e schiva. D’altro canto, i due ragazzetti protagonisti sono nel pieno della loro gavetta televisiva (sono apparsi anche loro un po’ ovunque), e hanno lo stesso carisma di un termosifone. Quello nero muore per primo.
ciao, sono questo post.
mi sento ignorato.
aiutatemi.
guarda, sei stato anche troppo buono con il I e il III.
Ciaoo Rob
sì? mi sembrava di aver espresso chiaramente la loro CANITA’. ^^
Il nero che muore per primo fa anche du’ battute a sfondo sessuale prima di tirare le cuoia?
(se le fa, siamo tornati in pieni anni Ottanta)
A proposito di “The V Word”:
http://www.morellismovieguide.com/php/mostra-recensione-693.html
(non so perché, ma ” ‘a Dickerson, Vattela a pija’…” mi sta provocando accessi di risa incontrollabili.)
“Eh, sì, dico, ma mannaggia la vostra troia, ma come ti viene? Cioè, tutto un episodio sui vampiri che esistono! Maddai! Senza fregna, co’ una trama della minchia…”
ROTFL
“AAAAAAAAA DICKERSON, TU MI VIENI A DI’ DI UNA STORIA DOVE CI SONO I VAMPIRI CHE FANNO I VAMPIRI, I VAMPIRI CHE ESISTONO E FANNO COSE! MA CHE È??? MASSÙ, MADDAI! ”
“Sì, no, ma…”
“CO’ QUELLO CHE VIENE MORSO EEEEEEEEE, EEEEEEEEE, CHE VA A CERCA’ IL VAMPIRO! MA CHE È??? ”
“Ssssssssssssì, ma il mio era un discorso piùùùùù, piùùùùùù, più sottile, ecco.”
“HO CAPITO MA A FORZA DE SOTTIGLIA’ NON C’È RIMASTO ‘NCAZZO! ”
(frasi tatuabili, altroché)
…aspetta di vedere Brandon Walsh..