L’amore giovane (The hottest state)
di Ethan Hawke, 2006
Per farne una promozione positiva e propositiva, ci vorrebbero solo due o tre righe per esaurire quello che s’ha da dire sul secondo film del 36enne attore texano che, dalla pubescente timidezza di Explorers, è diventato negli anni uno dei principali portabandiera del cinema indie americano. Principalmente perché, per una volta, questo è un film più piacevole da guardare che da raccontare. Forse perché a raccontarlo (o a raccontarselo, uscendo dalla sala) vengono fuori cose e cosette che sminuiscono quel briciolo di impatto emotivo che il film ha causato.
Per esempio, il primo pensiero che ho espresso a voce alta alla fine del film è stato "quando la smetterò di vedere film il cui protagonista sono io?" – e vi assicuro che è proprio così, e insomma, sono cose – che seguiva a ruota il pensiero ricorrente durante il film, ovvero "Ammazzate. Questa. Donna". Lauta ricompensa a chiunque mi portasse la testa di Catalina Sandino Moreno. Mi sono domandato quasi subito quale possa essere la reazione di una spettatrice di fronte ad una rappresentazione femminile, non solo così antipatica (e così stilizzata e semplicistica, anche nel personaggio della madre) ma più propriamente così malvagia. Non voglio spendere troppe parole su questo argomento. Tornando invece al pensiero principale, il film basa insomma molta della sua riuscita sui meccanismi di identificazione. E quale migliore modo per ottenere ciò, se non tuffandosi a capofitto nella banalità?
Ora, io rifuggo quanto possibile dall’uso della parola banale e suoi derivati. Banale è abusato, brutto, banale di per sé. E’ come americanata, è come buonismo, per capirci. Qui però l’accezione è talmente complessa che val la pena di fare un’eccezione: la banalità non è un neo, un difetto. La banalità è per Hawke un modo di rivestire il quotidiano, un modo di riscrivere e trascrivere la semplicità del mondo e dei rapporti umani. In questo senso, all’interno della sua totale e assoluta prevedibilità (persino nei singoli passaggi della sceneggiatura, a dire il vero piuttosto deboluccia), il film funziona alla perfezione.
Poi però, c’è il contesto. Che è quello di un complesso edipico non risolto, che è quello di una delocalizzazione forzata, e che è – soprattutto – la congiunzione delle due cose. Che tra di loro, va detto, legano davvero bene. Il volto del padre dimenticato e poi ritrovato è quel pezzo di Texas che è rimasto nel tuo cuore. Ecco, forse quello che non mi ha convinto del tutto di The hottest state è il modo in cui la sua struttura romance fatica – e lo fa, in modo evidente – ad appiccicarsi al suo contesto. Che in questo caso rischia di diventare pretesto. O di apparire tale.
Incredibilmente stupido la versione italiana del titolo. Che era effettivamente difficilotto da tradurre: questo è il motivo per cui alcuni titoli rimangono in lingua, e per cui molti altri dovrebbero fare ugualmente.
Nei cinema dal 23 Marzo 2007.
lo vedrò di sicuro, ho letto il libro almeno 15 volte (e mi ha accompagnato per anni turbolenti) fin dalla prima edizione quando si chiamava “stati di eccitazione”.
azz mi sono scordata l’anteprima con tanto di regista figo in sede, l’altroieri.
e vabè.
è la prima volta che leggo qualcosa di positivo al riguardo.
avevo schivato l’anteprima convinto che fosse orrendo.
Andrea
Beh, sì, però, boh, mah, beh, mmh. Ci ho trovato dei guizzi emotivi qua e là, delle battute che mi han fatto dire “toh”, dei momenti di cui ho sentito l’intensità. Sì, soprattutto sul rapporto irrisolto col padre/Texas, che è un nucleo spostato un po’ (troppo) più in là per fare spazio a quella figalessa cellulitica (da strozzare, lei per tutte le persone ambo sessi come lei).
Però alla fine mi è sembrato, non dico inutile… però l’ho detto appena uscita.
io ero quello che in sala si metteva le mani in faccia ogni volta che la tipa apriva bocca.
Anche io ero guardandolo mi son detto:cacchio..ma William sono io!!!!!!A me è piaciuto davvero tanto.Semplice semplice ma estremamente attento nel dipingere le fasi dell’innamoramento(la settimana messicana è meravigliosa!!).Davvero una bella scoperta.
MR.DAVIS
Una cosa:ma i microfoni che entravano in scena ogni due per tre?!
MR.DAVIS
in linea generale (non sempre ma quasi, diciamo) quando appaiono i microfoni in scena non è colpa del regista, come da vulgata, ma del proiezionista che non applica il mascherino giusto alla pellicola.
…riguardo i microfoni…in Casinò di Scorsese ce n’è una fraccata che spuntano, se lo vedi in tv perlomeno…
riguardo The Hottest State: io lo vidi in lingua originale a settembre alla panormaica dei film di venezia a milano e mi piacque assai…lacrimucce e immedesimazione a go go…semplicità oltre i livelli di guardia ma uno sguardo onesto e azzarderei puro sulle fasi dell’innamoramento…lei, obbiettivamente, è la classica tipa che se te la raccontano la strozzeresti, ma se ci sei in mezzo…eh, lo sai bene…lo so bene…ti tiene al guinzaglio…si sa…
(la questione del mascherino riguarda anche le riduzioni per la tv dei formati panoramici)
(insomma, un film VA visto nelle sue dimensioni e proporzioni originali, period – e dio benedica il dvd)
sottoscrivo tutta questa parte:
“”La banalità è per Hawke un modo di rivestire il quotidiano, un modo di riscrivere e trascrivere la semplicità del mondo e dei rapporti umani. In questo senso, all’interno della sua totale e assoluta prevedibilità (persino nei singoli passaggi della sceneggiatura, a dire il vero piuttosto deboluccia), il film funziona alla perfezione.”"
inoltre hai ragione the hottest state era intraducibile, come è intraducibile spiegare quel nodo allo stomaco quando ci si innamora.
“A ulteriore dimostrazione del mio lento ma inevitabile decadimento, il film diretto da Ethan Hawke mi ha emotivamente scosso. i vecchi son tutti imbecilli.” (cit.)
- vb –
io, dopo i titoli di testa,con quel flashback laccato tipo spot Levis…già volevo uscire dalla sala…