The good shepherd – L’ombra del potere (The good shepherd)
di Robert De Niro, 2006
Negli scorsi giorni, i pochi blogger che si sono avventurati all’interno del lunghissimo secondo film di Robert De Niro si sono prodotti in un notevole massacretto. Mi limito però a una constatazione da pagellino: non ho letto tali critiche per non esserne condizionato, visto che già la successiva visione del film di Florian ha spostato in basso la levetta del gradimento . Ci sono e spie e spie, questo va detto.
In ogni caso, a costo di attirarmi le ire o le antipatie dei molti delusi (ma tutto sommato, stiamo parlando di un attore in vacanza, più che di un regista da hype) non posso dire di non aver gradito questo interminabile e classicissimo romanzotto spionistico con (parecchi) inserti da romanzotto d’appendice, per due ragioni ben evidenti. La prima è il tono che De Niro stabilisce fin dalla sequenza iniziale, sommesso, grigio, triste, vagamente in controtendenza, e che ben si addice al suo grigio, triste e ambiguo protagonista. La seconda è la sensazione di abissale tristezza e disperazione portata da tutta la parte finale.
Poi, per quanto il film sia molto meno politico di quanto possa apparire, solleva più di un dubbio sulla liceità delle istituzioni "parastatali" (chiamiamole così, per ridere) statunitensi, ha dalla sua la sceneggiatura prevedibile ma decisamente "ferrea" di Eric Roth, un cast di secondo piano interessante per quanto bizzarro (ma il cameo dell’invecchiatissimo Joe Pesci fa perdonare tutto, persino Angelina Jolie), e qualche scena-madre che, pur facendosi dimenticare il mattino dopo, la sera stessa lascia un buon saporino in bocca.
D’accordo, non sarà propriamente lo spettacolo più lieve e scorrevole della vostra vita, ma da un film di due ore e quaranta su intrighi gestiti da dietro una scrivania, per di più con un protagonista lessato come Matt Damon, non potevo effettivamente aspettarmi molto di più. Niente di eccezionale, ma – se proprio devo – sono qui a difenderlo con i denti. Forse.
A me tutto sommato Matt Damon non è dispiaciuto, e lo ritengo una delle pochissime cose decenti del film.
Dovrei argomentare, ma l’unica cosa che mi viene in mente quando ripenso a The Good Shepherd è “che palle. che due enormi palle”.
Un po’ poco, me ne rendo conto…
Andrea
Sì, ma qua si aspettava la luce del sole, mica il pastorello!
(i feed sono più o meno esplosi, mi sa…)
ecco uno di quelli che si è avventurato nel massacretto!
e finalmente qualcuno che non massacra il film, siete pochissimi!
l’unico cosa degna di nota in quasi 3 ore di acqua naturale (neanche una bollicina!) è Joe Pesci, che tra l’altro compare sullo schermo per 2 minuti…
ho preferito senz’altro the good german, che mi ha fatto incazzare di meno, non fosse altro che io stimo molto de niro e giudico soderbergh un regista mediocre, quindi se il primo toppa mi incazzo di più…
Matt Damon, poi, ha raggiunto l’apice della sua insopportabilità.
Beh! Neanche due parole e dico due per Alberto Grifi?
io mi inserisco allegramente tra chi non ha partecipato al massacretto!
Concordo su tutto con Andrea: De Niro è riuscito a fare un miracolo ginecologico, con me…DUE PALLE!!!
secondo me la parte più riuscita è proprio quella da romanzotto d’amore d’appendice, quello con la ragazza muta. il resto è davvero soporiferetto.